L’OMICIDIO
I bossoli raccolti, le incongruenze: ombre sulla morte di Sarchi
I dubbi del deputato Andrea Pellicini, amico di famiglia dell’imprenditore di Cunardo ucciso in Albania

Troppe incongruenze. Tanti dubbi. «Questa storia non convince, non può finire così». Andrea Pellicini, deputato di Fratelli d’Italia e amico della famiglia Sarchi, interviene con cautela ma con fermezza sul caso dell’imprenditore varesino Edoardo Sarchi, ucciso il 26 settembre in Albania. Sottolinea le «troppe incongruenze». Ricorda il padre Vittorio come «un amico e un collaboratore politico a Luino» e sottolinea come restino nodi da sciogliere, a partire dal funerale celebrato in fretta e senza autopsia: «La modalità lascia sconcerto e non aiuta a chiarire i dubbi».
CACCIATORI RIMASTI SENZA BENZINA
La dinamica, almeno, appare più nitida. Tutto è inziato quando Gazmend Braçi, figlio del socio e amico di Sarchi, parte per la caccia con due amici e un pastore locale. Sulla pista sterrata incrociano un’auto bianca. Al volante c’è un uomo che si mette a urlare per gli abbaglianti. È Kamber Sulçaj, 48 anni, originario di Valona, oggi ricercato. La lite dura poco, i cacciatori si allontanano e restano a piedi per la benzina finita. Chiamano il padre, Eqerem Braçi, che insieme a Sarchi li raggiunge con due auto. È allora che l’uomo della lite torna. Sulçaj scende dal veicolo e apre il fuoco. Colpisce gli pneumatici, costringe il gruppo a scendere. Sarchi si avvicina alla sua Volkswagen per spegnere le luci interne, un gesto istintivo per non farsi individuare. Un proiettile rimbalza sull’asfalto e lo ferisce all’arteria femorale. Gli amici tentano di soccorrerlo, ma l’imprenditore muore dissanguato. I testimoni parlano di almeno cinque colpi. Due fratelli di passaggio su un quad raccontano di essere stati fermati dallo stesso aggressore che chiede: «Siete con loro?», prima di sparare di nuovo. Tutti i presenti, messi di fronte a un confronto fotografico, indicano la stessa immagine: quella di Sulçaj.
IL PICK UP BIANCO NEI VIDEO
Le telecamere di sicurezza riprendono il suo pick-up bianco, abbandonato poche ore dopo in una zona montuosa. Ma la scena del crimine è anomala. Non si troverebbero bossoli: chi ha sparato sembra averli raccolti, quasi a voler cancellare le tracce. E nelle perquisizioni successive, a casa del presunto omicida, oltre a fucili e strumenti ottici sofisticati, gli investigatori avrebbero scoperto un sacchetto con bossoli simili a quelli usati la sera dell’agguato. Un dettaglio che rafforza il profilo di un uomo abituato a maneggiare armi e capace di muoversi con freddezza. Il sospettato resta latitante, le ricerche della polizia albanese si concentrano tra le montagne del sud, e il cerchio attorno a lui sembra stringersi. Ma il movente è il vero punto oscuro.
«VOGLIO SAPERNE DI PIU’ ANCH’IO»
C’è la tesi della lite da strada degenerata, sostenuta anche dalla moglie di Sarchi, Majlinda Taga: «Mio marito non c’entrava nulla». E c’è l’ipotesi di un regolamento di conti, con i riflettori sugli affari nel settore delle cave e delle costruzioni che legano i Braçi, i Sarchi e la famiglia Sulçaj. Pellicini non nasconde i dubbi: «È una vicenda che andrà avanti, non può finire così. Adesso è fondamentale catturare questa persona e capire chi lo sta aiutando». Poi aggiunge: «Voglio saperne di più anch’io». Parole che fotografano un’inchiesta sospesa tra una ricostruzione apparentemente chiara e un movente che continua a sfuggire.
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