IL REPORTAGE
Tradate, basta droga nei boschi
Con la Polizia in un blitz contro lo spaccio al Parco Pineta
Qualcuno potrebbe tirare in ballo il Don Chisciotte di Cervantes e parlare d’una battaglia contro i mulini a vento. Del resto, dare la caccia a fantasmi che si nascondono in boschi fitti, pronti a scomparire al minimo rumore sospetto, potrebbe sembrare una partita dal risultato già scritto. Ma non è affatto così. E per rendersene conto basta seguire i poliziotti della Squadra Mobile della Questura, durante un blitz, l’ennesimo, nei boschi del Parco Pineta. Da anni ormai alle latitudini varesine si deve fare i conti con i “bivacchi dello spaccio”: una piaga che flagella la provincia da nord a sud, dal confine con la Svizzera fino all’hinterland milanese, lungo una striscia di boschi che un tempo rappresentava il “tesoro verde” del territorio e ora sta diventando terra di conquista per i mercanti di droga. La cosa è ormai nota: gli spacciatori allestiscono piccoli accampamenti nel fitto della vegetazione, da cui gestiscono la compravendita di droga tramite cellulari e con l’aiuto di pali e sentinelle. Il cliente arriva al limitare del bosco, nel punto prestabilito, e riceve la dose concordata tramite sms.
Un meccanismo all’apparenza semplice, ma che in realtà non lo è affatto. Ogni postazione è attrezzata con tutto il necessario per il sostentamento e la permanenza, eventualmente anche notturna, dello spacciatore di turno, che può contare su una rete di “pali” incaricati di avvisarlo al primo movimento sospetto. Spesso come sentinelle vengono impiegati proprio i consumatori, che in cambio di qualche dose trascorrono intere giornate di guardia oppure si occupano dei viveri. Gli spacciatori che si trovano in questi bivacchi sono quasi sempre ventenni di nazionalità marocchina, approdati in Italia dalla Spagna.
TRAPPOLE E ACCAMPAMENTI
L’attività compiuta dalla sezione antidroga della Questura parte con un briefing nella caserma dei carabinieri di Tradate, a cui prendono parte anche agenti della Polizia locale e i “rinforzi” dell’Rpc, il reparto prevenzione crimine della Polizia di Stato, arrivati da Milano. La prima tappa è in una zona boschiva a pochi chilometri da lì, tra stradine sterrate e rifiuti abbandonati. Gli investigatori puntano dritti a un punto in cui nelle scorse settimane era stato segnalato un bivacco degli spacciatori. Che la pista sia giusta è confermato dalla presenza di tronchi abbattuti e di altri ostacoli posizionati lungo il sentiero: si tratta di accorgimenti adottati proprio dai pusher che, in caso di fuga, sanno a memoria quali linee seguire, lasciando il tracciato principale – pieno di “trappole”, quindi – agli eventuali inseguitori. L’accampamento c’è, ma le tracce lasciano presagire che sia ormai abbandonato da alcuni giorni. Al ritorno, gli agenti della Mobile – che ormai quei boschi li conoscono palmo a palmo – decidono di passare da un altro crocevia dello spaccio in zona. Tutti la chiamano semplicemente “la casina”: è una villetta su due piani, immersa nel bosco, con un piccolo barbecue ormai ricoperto di piante. Adesso il giardinetto è tappezzato di rifiuti. I poliziotti si avvicinano senza fare rumore e dall’interno provengono voci di ragazzi. La porta d’ingresso è sbarrata e si può accedere soltanto da una botola. Gli agenti bussano con lo sfollagente e intimano agli “inquilini” di uscire. Si sente un vociare confuso e dal buio del garage sbucano due giovanissimi, un ragazzo e una ragazza, di circa vent’anni. Vengono identificati e perquisiti: sono “puliti”, ma è evidente che si tratta di consumatori abituali. Eroina e cocaina, dicono. Raccontano di non vedere da tempo gli spacciatori in zona, ma non è detto che sia la verità.
IL “BOTTINO” DEL CELLULARE
Le squadre tornano alle auto e si spostano nella zona di Pianbosco, a Venegono Superiore. I poliziotti puntano decisi in un luogo dove già nelle scorse settimane erano stati trovati bivacchi: percorrono il fitto della boscaglia e quasi sicuramente, nonostante il silenzio e la velocità, i loro passi vengono intercettati dalle sentinelle, che corrono ad avvisare gli spacciatori. Il bivacco infatti è “fresco”: a terra panini, una cipolla già fatta a pezzi, scatolette di tonno e una mozzarella. Accanto una bottiglia di aranciata. Ma soprattutto c’è un cellulare: nella fretta, vedendosi braccato, il pusher ha abbandonato ciò che ha di più prezioso, ossia il telefonino con i numeri dei clienti e lo scambio di messaggi. Da qui partiranno le indagini della Mobile. A terra ci sono teli impermeabili, che in caso di pioggia vengono issati a funi “caserecce”, fatte di cellophane tirato da un albero all’altro. L’attività si sposta in un terzo punto, sempre nei boschi di Venegono.
I poliziotti decidono di raggiungere il possibile bivacco passando da dietro, ma anche qui le sentinelle sono allerta. Gli investigatori della Mobile, con scatti da centometristi, cercano di colmare la distanza, ma le vie di fuga dei malviventi sono a prova di retata. Anche stavolta i fantasmi del bosco sono spariti. Tutto inutile, quindi? No. Perché i bivacchi vengono smantellati e gli incassi di giornata “bruciati”, con i clienti che stanno alla larga. La battaglia è dura ma si combatte ogni giorno, per far capire agli spacciatori che questi boschi non possono diventare l’outlet della droga.
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