LA MOSTRA
Marina Abramović, il respiro, il corpo, la relazione con l’altro e la morte
A Bergamo 30 lavori recenti e storici allestiti tra interno ed esterno. Un percorso completo nella sua carriera cinquantennale. «Seven Deaths» l’installazione dedicata a Maria Callas è il fulcro
Artista politica, ma dobbiamo intendere l’aggettivo “politico” nel senso ampio ed in fondo originario di: “afferente alla polis”, cioè alla società; esponente, vale a dire, di un’arte che intende influire sulla collettività, Marina Abramović (Belgrado, 1946; vive a lavora a New York) è una delle artiste più influenti nel sistema dell’arte contemporanea, famosa, discussa e popolare. Gres art 671, neonato centro culturale bergamasco, sorto su un’ex area industriale di tremila mq «per conservare e trasmettere la memoria della storia del luogo», ospita (fino al 16 febbraio 2025) between breath and fire, a cura di Karol Winiarczyk, un’ampia mostra dell’artista serba: in parte retrospettiva (con la documentazione video di alcune delle performance più note e significative), in parte antologica dei più recenti lavori. È una mostra che ha il pregio di consentire allo spettatore, che solo abbia la pazienza di riflettere alle varie performance qui presentate, di cogliere, oltre i contenuti emotivo-intellettuali che necessariamente emergono dalle stesse, alcuni aspetti che potremmo definire “formali”, legati cioè, da una parte, alla Body art, vale a dire quella tipologia di performance che fa del corpo umano «il soggetto e l’oggetto dell’opera» (secondo la definizione che il critico Willoughby Sharp fornì nel 1970), dall’altra, alla tecnica d’azione propria della Abramović.
Emerge, in prima battuta, che la performance costituisce di fatto un medium che consente all’artista di decidere un insieme di regole, protocolli o rituali ai quali attenersi per la realizzazione dell’opera. Per quanto riguarda le specifiche azioni in mostra lo spettatore non è lasciato indifferente dal captare il coraggio, la forza di volontà e, soprattutto, l’abnegazione, con cui Marina si sottopone(va) a quell’insieme di regole, molto poche ma stringenti che lei stessa fissava, in uno spazio e in un tempo dati: l’hic e il nunc sono elementi ineliminabili delle sue azioni artistiche. Dai video e dalle proiezioni in mostra affiora con comprensibile maggior difficoltà, invece, il rapporto (l’energia, come lo definisce lei stessa) che s’instaura tra il pubblico e il performer e che ha sempre costituito, per stessa ammissione dell’artista serba, un eccezionale aiuto nel portare a termine l’azione performativa. Il ruolo fondamentale del pubblico durante lo svolgimento dell’azione (qui richiamato ad esempio in opere come Lips of Thomas, 1975 o Imponderabilia, 1977 e presentato in Mambo a Marienbad, 2001), mai posto in discussione, è stato tuttavia chiarito nel celebre The Artist Is Present, 2010: nel corso dei tre mesi di durata dell’opera, Marina ha rimosso il tavolo che faceva parte dell’allestimento: infatti, separando la sedia dell’artista da quella a disposizione dei singoli spettatori che si avvicendavano al suo cospetto, operava come una sorta di barriera, di ostacolo che ostruiva il flusso energetico tra la Abramović e la persona che la fronteggiava.
In una società che oggi più che mai teme il contatto con il corpo e i corpi (Imponderabilia), ne odia i limiti e le fragilità, fisici e mentali che siano, fugge l’idea della morte (Seven Deaths, 2021 e Carrying the Skeleton (I), 2008) e quella del dolore (Dissolution, 1997), fa, nel complesso, del comodo agio il cuore stesso della sua efficienza, le opere qui presentate sono un richiamo, forte e turbante, a questi aspetti della vita dai quali si possono prendere le distanze solo fittiziamente; sono medicamenti artistici, per quanto amari, salutari… Opere politiche, appunto, che intendono agire sul mondo; che indicano la strada della resistenza, e non della resilienza, per influire sul corpo sociale, dopo che coraggio, volontà e abnegazione abbiano prodotto una purificante maturazione personale.
© Riproduzione Riservata