ARTE
Edvard Munch: il mio grido racchiuso in un’opera
La mostra allestita a Palazzo Reale di Milano racconta tutto il suo universo. Il percorso si snoda tra 100 opere tra cui alcune celebri
Camminavo lungo la strada con due amici, quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue». Con queste parole l’artista norvegese Edvard Munch (1863-1944) affida ai suoi diari l’esperienza all’origine della sua opera più famosa, l’Urlo. Un urlo d’angoscia che pervade la natura e che risuona nell’animo umano. «Ho capito che dovevo gridare attraverso la pittura, e allora ho dipinto le nuvole come fossero cariche di sangue, ho fatto urlare i colori. Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io», conclude Munch. Un grido interiore che ispira il titolo della mostra che dopo 40 anni riporta l’artista a Milano, a Palazzo Reale (per poi proseguire a Roma, dove Munch manca da dieci anni, nella sede di Palazzo Bonaparte).
LA MOSTRA
Oltre cento le opere di quello che fu considerato esponente di spicco del Simbolismo europeo, riferimento della Secessione di Berlino e precursore dell’Espressionismo tedesco, non solo dipinti e stampe ma anche taccuini, fotografie e filmati, per indagare la figura dell’artista, quello più famoso e conosciuto, ma anche l’uomo, “il Munch privato”, per usare le parole di Costantino D’Orazio, curatore del progetto insieme a Patricia G. Berman, tra le massime studiose dell’artista.
Tra le opere, che arrivano direttamente dal Munch Museum di Oslo, una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895), e di Madonna (1902) insieme a quadri straordinariamente poetici e al contempo drammatici, come La morte di Marat(1907), Notte stellata (1922), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900-1901) e Danza sulla spiaggia (1904).
Un’intera sezione in mostra è dedicata ai rapporti personali dell’artista: dalle vicende tragiche che coinvolgono madre e sorella, entrambe morte quando Edward era ancora in tenera età, alle donne, in particolare Tulla Larsen, musa e ossessione, con cui visse una drammatica ma ispiratrice relazione. Lungi dall’essere auto referenziale, però, la sua arte si è fatta interprete di sentimenti, passioni e inquietudini di un mondo in profondo cambiamento, sapendoli tradurre e comunicandoli in maniera potente e tragica. «Attraverso l’arte – scriveva – cerco di vedere chiaro nella mia relazione con il mondo, e se possibile aiutare anche chi osserva le mie opere a capirle, a guardarsi dentro».
EMOZIONI E SENSAZIONI NELLE OPERE
Dopo la formazione con il naturalista norvegese Per Lasseu Krohg, a Parigi subì le influenze di Van Gogh e Gauguin, che gli suggerirono un uso del colore più intimo, drammatico ma soprattutto un approccio psicologico e interiore. Tormentato e geniale, fu tra i primi a mettere in discussione l’affidabilità della visione, andando a indagare le idee che stavano maturando nell’ambito della psicologia e dell’ottica sperimentale. Munch era consapevole di quanto emozioni e sensazioni influenzassero la visione, filtrando le esperienze del mondo in una continua sinestesia che, nei suoi dipinti, si traduce in un uso libero dei colori, riflesso delle impressioni sensoriali suscitate dalla realtà, tra cui suoni e vibrazioni. Tanto da confessare «Non dipingo la natura: la uso come ispirazione, mi servo dal ricco piatto che offre. Non dipingo cosa vedo, ma cosa ho visto».
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