LE CURE
Emicrania ricorrente. Più a rischio le donne
L’indagine del Censis per la Fondazione Onda: «Sotto-diagnosticata e non adeguatamente trattata»
Per molti di coloro che ne soffrono, l'emicrania è una malattia ad andamento cronico, la terza sintomatologia del genere umano, la più ricorrente in assoluto nelle donne fino a cinquant'anni: sono informazioni recenti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. In Italia coloro che nel corso della vita hanno manifestato almeno un episodio di emicrania superano i 15 milioni e di questi sofferenti 11 milioni sono donne.
L’indagine “Vivere con l’emicrania”, condotta dal Censis per la Fondazione Onda, ha analizzato nei suoi risvolti il fenomeno e si può parlare a pieno titolo di “patologia di genere”. Una malattia considerata “debilitante” nel 34% delle donne rispetto al 15% degli uomini; il tempo medio per arrivare a una diagnosi è doppio nelle donne (quasi 8 anni) rispetto agli uomini; sono sempre le donne (39%) ad avere gli attacchi più lunghi (oltre 48 ore) rispetto agli uomini ( 15 ore).
Per il sesso femminile ne deriva una notevole riduzione delle attività sociali, delle presenze al lavoro, di svolgimento delle normali attività domestiche nella gestione dei figli e dei parenti anziani. Il 70% dei pazienti (maschi e femmine) dichiara di non riuscire a fare nulla durante l’attacco di emicrania e il 58% vive nell’angoscia dell’arrivo di una nuova crisi.
Per richiamare l’attenzione su questa patologia e portare avanti un impegno che coinvolga non solo la società civile e la classe medica, ma anche le diverse istituzioni, la Fondazione Onda ha redatto il Manifesto “Uniti contro l’emicrania”.
«Sebbene sia la malattia neurologica di cui si possiedono le maggiori conoscenze scientifiche e per la quale sono disponibili farmaci innovativi e specifici - fa presente Francesca Merzagora, presidente di Fondazione Onda - l' emicrania è ancora sotto-diagnosticata e non adeguatamente trattata. Il nostro Manifesto elenca le azioni necessarie per promuovere una maggior consapevolezza sulla malattia, un tempestivo e più facile accesso a percorsi personalizzati di diagnosi, a strategie terapeutiche più efficaci e innovative, un impegno concreto per offrire una migliore qualità di vita a tutte le persone che soffrono di emicrania».
La recente approvazione al Senato del disegno di legge per il riconoscimento della cefalea cronica come malattia sociale è senz'altro un primo passo in questa direzione, ma resta ancora molto da fare.
«Gli ormoni sessuali femminili rivestono un ruolo determinante nelle differenze di genere per l'emicrania - fa presente Piero Barbanti, presidente dell'Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee - esiste infatti una stretta correlazione tra le cicliche variazioni ormonali, in particolare degli estrogeni, e la ricorrenza degli attacchi».
L’emicrania compare regolarmente nella donna dopo il menarca e le fasi di maggiore severità si osservano nel periodo mestruale e ovulatorio. Per molte giovani donne che ne soffrono è essenziale una diagnosi tempestiva per instaurare con il ginecologo le cure più adatte, evitando i rischi di cronicizzazione della malattia e di un uso eccessivo di farmaci.
Si stima che in Europa soffrire di emicrania comporti complessivamente una spesa dai 18 ai 27 miliardi di euro, mentre in Italia, stando ai dati raccolti dallo studio My Migraine Voice, si è calcolato che il prezzo annuale legato alla perdita di produttività in persone con 4 o più giorni di emicrania in un anno ammonti a 7,6 miliardi di euro.
L’emicrania porta inevitabilmente per chi ne soffre, secondo lo studio Gema - Gender&Migraine, effettuato su un campione di 607 pazienti adulti con almeno 4 giorni di emicrania al mese (studio realizzato dal Centro sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale Cergas e dall’Università Bocconi), ad un costo annuale per paziente di 4.352 euro: il 25% per prestazioni sanitarie, il 36% per perdita di produttività, il 39% per assistenza familiare. E' stato evidenziato, infine, che nel genere femminile è più sentito il dovere di 'essere presenti': le donne si recano al lavoro anche in condizioni di malessere per 51,6 giorni all’anno contro i 35,6 giorni degli uomini.
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