GIORNO DELLA MEMORIA
Primo Levi, se questo è IL libro

Il 19 ottobre 1945 Primo Levi arrivò finalmente a casa, in Corso Re Umberto 75 a Torino.
La guerra era appena finita e, dopo quasi due anni incredibili, voleva raccontare la sua storia perché «i ricordi mi bruciavano dentro».
Iniziò così a scrivere febbrilmente. Aveva trascorso l’estate del 1943 in Val d’Aosta e Mussolini era stato arrestato il 25 luglio.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre, Levi era rimasto con la madre e la sorella in montagna, per capire cosa sarebbe successo.
Le vicende sono note. L’Italia si spezzò in due: a Nord, la Repubblica Sociale Italiana, Mussolini e i tedeschi; a Sud gli Alleati e il governo del Re. In mezzo, la guerra civile.
Il giovane Levi, 24 anni e laureato in chimica, si era unito ai partigiani del Col de Joux. Ma dopo pochi giorni, il 13 dicembre 1943, in una “spettrale alba di neve”, i fascisti lo avevano catturato.
Interrogato, si qualificò come «cittadino italiano di razza ebraica», perché – pensò – dichiararsi partigiano avrebbe significato «torture e morte certa».
Come ebreo, invece, fu spedito a Fossoli, vicino a Modena, in un campo di internamento. Il 21 febbraio 1944, insieme ad altri 650 ebrei “compressi senza pietà, come merce di dozzina”, fu caricato su un vagone blindato chiuso dall’esterno.
Dopo cinque giorni arrivò ad Auschwitz: il suo “viaggio verso il nulla”, verso “il fondo” era iniziato.
Rimase in quell’abisso fino al 27 gennaio 1945, quando l’Armata Rossa aprì i cancelli con la scritta “Arbeit Macht Frei”. Di quei 650 solo 20 erano sopravvissuti.
E il ritorno a casa sarebbe stata un’altra odissea: nove mesi di viaggio, passando attraverso Polonia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Romania, Ungheria, Cecoslovacchia, Austria e Germania.
Comunque, nel gennaio del 1947 il libro era pronto, con il titolo Sul fondo. Alcuni brani erano già stati pubblicati su «L’Amico del Popolo», un settimanale comunista di Vercelli diretto da un suo amico, Silvio Ortona.
In realtà, nei mesi precedenti Primo Levi aveva spedito il dattiloscritto a diversi editori, senza successo: può capitare, non sempre i capolavori vengono riconosciuti immediatamente. Tra questi, la casa editrice Einaudi.
Anni dopo, tra l’altro, scoppiò una polemica, perché il libro era stato rifiutato da Cesare Pavese e soprattutto da Natalia Ginzburg, una ebrea che ben sapeva cosa fosse successo. Ma non si era trattato di censura, secondo la Ginzburg: «Ricordo perfettamente il giudizio di Pavese – disse – non è il momento di pubblicare un libro come questo. Ne sono usciti troppi sull’argomento».
Così, alla fine, nell’ottobre del 1947, Levi riuscì a stamparlo con la piccola casa editrice Da Silva, diretta da Franco Antonicelli. Uscirono 2.500 copie con un nuovo titolo: Se questo è un uomo. Distribuite solo in parte, le circa 600 copie residue finirono in un magazzino a Firenze.
L’accoglienza fu piuttosto fredda. Poche le recensioni, per quanto positive. In effetti, l’assurdo raccontato da Levi era difficile da accettare come verità. E poi, il libro “disturbava”, in un Paese che voleva e doveva ricostruirsi e non aveva ancora, nell’immediato dopoguerra, una piena consapevolezza dell’esistenza dei campi di sterminio.
Dopo altri rifiuti, negli anni successivi l’interesse per l’Olocausto iniziò a crescere. Per fare un solo esempio, il Diario di Anna Frank, uscì in Italia nel 1954.
Così, nel 1958 Einaudi ci ripensò e lo pubblicò. Bellissima e inquietante la copertina di Bruno Munari: un astratto con sbarre disegnate in verticale per richiamare i recinti dei lager.
In un attimo diventò un libro imprescindibile: esaurito a fine anno, iniziarono le ristampe. Oggi Levi è tradotto in almeno 41 lingue e tutti conoscono cosa furono i campi di sterminio.
Le 600 copie della prima edizione, purtroppo, furono distrutte dall’alluvione dell’Arno del 1966.
Peccato, ma poco importa perché, come scrisse Claudio Magris dopo la morte di Levi nel 1987, «Se questo è un uomo è un libro che rincontreremo al Giudizio Universale».
Le parole sono forti, pesano, hanno un significato. E rimangono nel tempo.
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