TERAPIE
La bellezza dell’arte che cura anima e corpo
L’obiettivo finale è rinforzare l’individualità e l’autostima: musica e opere di grandi artisti tra gli aiuti migliori

Mantenere la memoria residua di pazienti con disturbi neurocognitivi, quali la demenza e l’Alzheimer, con attività, stimoli e strumenti non farmacologici che vanno a migliorare e aumentare la socializzazione, stimolando le capacità rimaste nella loro mente.
Arteterapia, musicoterapia, pet therapy: l’obiettivo è analogo ed è quello di rinforzare l’individualità e l’autostima del malato, valorizzandone le capacità residue, ma anche alleviare l’ansia e l’agitazione.
«Come associazione Varese Alzheimer abbiamo da tempo abbiamo esperienze come i Circoli della Memoria - spiega Maria Luisa Delodovici, medico neurologo specialista in neurologia e neurofisiologia clinica e presidentessa dell’associazione Varese Alzheimer -: si tratta di attività che puntano a mantenere la memoria residua con strumenti non farmacologici».
Approcci artistici in senso ampio. «Un esempio di queste attività - prosegue Maria Luisa Delodovici - è la musicoterapia: ci sono psicologi e psicologhe esperte in questo campo che tutte le mattine nella nostra associazione incontrano piccoli gruppi di malati e stimolano con queste attività mentali le capacità rimaste nelle loro menti. Parliamo naturalmente di memoria residua, che è quella che si può stimolare: nel caso della musicoterapia per esempio con musiche che i malati ricordano come della loro giovinezza, a volte cantano canzoni. Si tratta di mantenere ricordi che ci sono ancora, che hanno ancora».
A questa terapia con la musica si unirà a breve una terapia con l’opera d’arte, attraverso il progetto ideato con la Fondazione Morandini di Varese, con un approccio che punta a permettere alle persone di connettersi con le opere in modi profondi e personali, utilizzando la loro immaginazione, memoria e capacità logico-cognitive residue come canali di comunicazione.
Costruendo reti relazionali che contrastino l’isolamento e di valorizzare le loro capacità e potenzialità. Esperienza già condotta a livello sperimentali a Padova, ma di cui ci sono esempi anche in musei di Roma e al MoMA di New York.
«Il contatto con le opere d’arte - sottolinea Maria Luisa Delodovici - viene utilizzato come strumento per mitigare le alterazioni che hanno questi pazienti con una forma di demenza. Attraverso l’interazione tra psicologi, esperti e curatori museali, andremo a valutare, attraverso schede con domande specifiche da pazienti con forma di demenza lieve, le risposte date, per capire quale beneficio hanno dall’interazione con le opere d’arte. E allo stesso tempo saranno coinvolti anche i loro familiari per verificare se hanno colto un cambiamento». Sì, perché il coinvolgimento dei familiari, ma soprattutto il supporto ai familiari sono fondamentali.
Un altro esempio è dato dagli Alzheimer Cafè, dove, spiega ancora la presidentessa dell’associazione Varese Alzheimer, «i pazienti si trovano di solito un pomeriggio alla settimana e insieme, guidati da uno psicologo parlano o fanno attività, per esempio legate alla pet therapy, la terapia con gli animali, che sembra veramente avere un’azione che tranquillizza i malati, un’azione modulante sul comportamento. È una sorta di reintroduzione alla socializzazione».
E, tornando al tema dei familiari dei pazienti con disturbi neurocognitivi, contemporaneamente psicologi si occupano di dare supporto proprio alle famiglie, su come approcciarsi al malato, «perché è importante fare qualcosa che serve sia al malato sia ai familiari, sostenendoli».
In generale l’arteterapia si sta comunque confermando come sollecitazione che porta diversi benefici alle persone affette da Alzheimer e da altre forme di demenza, alleviandone i disturbi comportamentali, aiutando a esprimere le proprie emozioni e i propri bisogni.
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