8 SETTEMBRE 1943
La morte e la rinascita della Patria

«Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower […]. La richiesta è stata accolta».
Erano le 19 e 42 minuti dell’8 settembre 1943, quando dai microfoni dell’EIAR il capo del governo, maresciallo Pietro Badoglio, annunciò l’armistizio agli italiani. Tre anni prima il Duce, dal balcone di palazzo Venezia, aveva tuonato: «la parola d’ordine è una sola: Vincere! E vinceremo!».
Invece, 1.184 giorni dopo, la disastrosa “guerra parallela”, dai Balcani all’Africa e fino alla Russia, aveva distrutto il Paese e stremato i cittadini: oltre ai morti e ai bombardamenti, il razionamento del cibo prevedeva – per fare pochi esempi – un uovo a persona ogni 15 giorni e 2 chili di pasta al mese. Un livello di vita insostenibile.
Così, il 25 luglio Mussolini era stato “arrestato” e sostituito con Badoglio, mentre gli Alleati conquistavano la Sicilia e sbarcavano in Calabria.
La guerra era persa, e l’8 settembre sembrò finita: la gente invase le strade, le finestre si illuminarono dopo anni di oscuramento, l’euforia si sparse dappertutto. Eppure, Badoglio aveva terminato il suo comunicato in modo a dir poco ambiguo: le ostilità contro gli Alleati dovevano cessare, ma le forze armate avrebbero reagito “ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”.
Cosa significava? Le notizie allarmanti iniziarono a circolare nella notte e la mattina dopo gli italiani si trovarono il Paese invaso dai tedeschi pronti a vendicarsi. Del resto, per Hitler erano “un popolo di zingari”.
In breve si consumò il dramma, la “morte della Patria” come hanno scritto alcuni storici: nella notte il re e Badoglio, insieme ai familiari e a parte del governo, scapparono verso Brindisi, abbandonando Roma e il Paese al suo destino. L’esercito, senza ordini, si sfaldò: molti buttarono divisa e moschetti e cercarono di tornare a casa. Una fiumana di uomini si riversò sulle strade e prese d’assalto treni e calessi. Ma in realtà, almeno 600 mila furono catturati e deportati in Germania.
Un’immagine tragica: le istituzioni sfasciate e un popolo vinto, senza un esercito, senza una guida, senza idee e dignità. Una Nazione allo sbando, occupata a Sud dagli Alleati e fino a Napoli dai tedeschi: qualcuno, sul lungotevere a Roma, scrisse “Abbasso tutti”, un epitaffio assai significativo. Insomma, una condizione di degrado culturale e morale che per molti studiosi distrusse il sentimento nazionale. Una ferita non rimarginabile: ancora oggi, lo scarso attaccamento al senso dello Stato lo dimostrerebbe.
Ora. L’8 settembre fu certamente un trauma e uno spartiacque. La guerra non finì e l’Italia piombò in uno dei periodi più oscuri della sua storia. Il ritorno di Mussolini e la nascita della Repubblica Sociale portarono poi alla catastrofe della guerra civile.
Senza dubbio, la classe dirigente di allora fu responsabile di quel disastro, di una pagina tra le più vergognose e umilianti: come disse il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, «l’8 settembre è stato l’esperienza più dura per un’intera generazione, la mia». Nondimeno, a ben pensarci, quella data obbligò gli italiani a fare un esame di coscienza collettivo e pose le basi per il riscatto della Nazione e per la rinascita della Patria. Proprio in quei giorni, infatti, molti altri reagirono: bisognava restituire dignità all’Italia e ridarle «il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni», come già il 9 settembre comunicò il Comitato di Liberazione Nazionale.
Insomma, dall’8 settembre emerse anche un popolo, scrisse Leo Valiani, che non si rassegnava «ad essere espulso dalla storia». E, con gli Alleati, liberò l’Italia e la ricostruì nella pace e nella democrazia. C’è qualcosa di impenetrabile ma di ricorrente nella storia degli italiani: quando sono in grave difficoltà offrono il loro meglio, e anche di più. Talvolta bisognerebbe ricordarlo, soprattutto in questi ultimi tempi.
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