LA MOSTRA
Nam June Paik allo specchio del tempo
Le sue opere sono in dialogo con altri artisti coreani e manufatti preziosi. Il visitatore è in una dimensione di passaggio tra presente e passato
Cominciamo dal titolo. Rabbit inhabits the Moon (fino al 23 marzo, al Museo d’arte orientale di Torino): riprende innanzitutto il titolo di un’omonima installazione (1996) di Nam June Paik nella quale un coniglio di legno è posizionato dirimpetto a un televisore che trasmette l’immagine della luna; a sua volta quest’opera richiama un motivo letterario ricorrente e diffuso in molte culture orientali con diramazioni che giungono fino in Turchia, per il quale un coniglio abiterebbe il nostro satellite.
Curata da Davide Quadrio, direttore MAO, e Joanne Kim, critica e curatrice coreana, l’esposizione ruota, come si evince dal sottotitolo (L’arte di Nam June Paik allo specchio del tempo), attorno alla figura dell’artista coreano (Seul, 1932 – Miami, 2006), alle filiazioni cui la sua poetica ha dato vita e ai confronti che questa può instaurare con «preziosi manufatti tradizionali». Una mostra che si muove su piani culturali e temporali sfalsati adatti a sottolineare, piuttosto che uno sviluppo storico lineare, i topoi problematici, gli ambiti tematici, cioè, che in ogni attività umana che osi interrogarsi sul “senso” dell’essere al mondo, dalla filosofia alla religione all’arte, emergono costantemente e a tutte le latitudini. «La mostra - afferma il direttore - lavora sullo spazio tra presente e passato lasciando il visitatore in una dimensione di passaggio tra questi due mondi. Un po’ sciamano lui stesso, il visitatore è interprete e osservatore di Paik, artista coreano ma globale, crocicchio di storie antiche del suo paese d’origine e di una modernità dirompente. La mostra si situa nel percorso del MAO di interpretazione e approfondimento delle culture asiatiche in collezione. La Corea purtroppo non è ancora presente (ci stiamo lavorando), per cui Nam June Paik è usato come figura centrale di questo percorso: artista e oggetto stesso di analisi e presentazione. Un simbolo e un mezzo, nella sua potenza, davvero... sciamanico».
Attivo dagli anni Sessanta nell’ambito del movimento Fluxus, Paik, musicista di formazione, sviluppò la sua arte attorno al medium televisivo; nel tentativo di umanizzarlo, ne sperimentò le potenzialità tramite distorsioni d’immagine e disseminazioni spaziali, cercando di modificarne lo status da apparecchio passivo a medium interattivo. Con la violoncellista Charlotte Moorman (1933-1991) attivò una collaborazione particolarmente significativa che coniugava il video alla dimensione performativa. Merita, infine, attenzione l’installazione Nocturne No. 20/Counterpoint(2013) di Kyuchul Ahn, in cui verranno gradualmente rimossi i martelletti del pianoforte su cui viene suonata una musica di Chopin, fino a rendere il pianoforte muto, una sorta - ci piace credere - di raffinato omaggio a John Cage (artista fondamentale per la maturazione di Paik): dai suoi pianoforti preparati ai celebri 4’33” (1952) di silenzio strumentale.
© Riproduzione Riservata