IN OSPEDALE
Nei centri di cardiologia si lotta per la vita
Focus sull’infarto: fattori di rischio e il percorso di cura
Ogni anno in Italia si registrano da 130mila a 150mila nuovi casi di infarto miocardico acuto, oltre 25 mila muoiono prima del ricovero. Gli altri vengono seguiti nei centri di cardiologia secondo standard di cura ormai sperimentati, come l’angioplastica e la coronarografia, riducendo dal 16% all’8% la mortalità nei trenta giorni dopo l'evento. I nostri cardiologi sono in grado di utilizzare al meglio le risorse farmacologiche offerte oggi dal Servizio sanitario nazionale. Occorre però migliorare la gestione dei fattori di rischio e del percorso di cura, se si vogliono ridurre ulteriormente l’incidenza dell’infarto e la mortalità durante e dopo il ricovero.
E' la principale preoccupazione emersa all'ultimo congresso dell'Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO), tenutosi di recente a Rimini. Per l'occasione sono stati presentati i risultati della verifica Audit, resa possibile con il sostegno volontario di Amgen. Si tratta della prima esperienza clinica italiana in questo settore sanitario, voluta dai 50 Centri cardiologici ospedalieri distribuiti sul territorio nazionale, con il coinvolgimento di oltre 500 cardiologi, il 10% di tutti gli specialisti che operano nella sanità pubblica.
«Un congresso è senz'altro l’appuntamento più atteso nel panorama scientifico della cardiologia italiana - ha detto Fabrizio Oliva, presidente ANMCO e direttore della Cardiologia all'Ospedale Niguarda di Milano - poiché ci permette di verificare l’operato delle nostre strutture ospedaliere, con un’attenzione particolare alla prevenzione secondaria nei casi di infarto miocardico, intervenendo laddove si presentino punti di debolezza nella presa in carico e nell'assistenza di questi pazienti per migliorarne le cure e ridurre la mortalità. E' un nostro dovere, ma è anche la nostra missione».
L’infarto miocardico acuto è un evento improvviso che si verifica a seguito dell’interruzione del flusso sanguigno diretto al cuore, a causa di un restringimento o di una ostruzione (coagulo) di una o più arterie (coronarie) che lo trasportano. Se non si interviene rapidamente per ripristinare il flusso, l’area del cuore coinvolta viene danneggiata dalla mancanza di ossigeno e va incontro a morte per necrosi dei tessuti. Causa principale l’aterosclerosi, processo patologico progressivo dovuto ad accumulo di materiale lipidico (grasso) sulle pareti delle arterie, che col tempo porta alla formazione delle cosiddette “placche”. Una placca può rompersi all’improvviso con formazione di un coagulo, che può crescere ed occludere completamente il vaso arterioso.
Sono campanelli d'allarme dell'infarto miocardico un dolore violento al petto, per passare poi alle spalle, alle mani e alla schiena, sudorazione fredda, debolezza e senso di svenimento. Sono fattori di rischio non modificabili: l'età (con l’avanzare degli anni le probabilità di infarto aumentano), il sesso (più frequente negli uomini, dopo la menopausa nelle donne) e la familiarità. Sono fattori di rischio modificabili: una vita sedentaria, il fumo, un' alimentazione ricca di grassi e carboidrati, sovrappeso e obesità, colesterolo alto (ipercolesterolemia), ipertensione (un superlavoro per il cuore), diabete (una patologia che danneggia arterie e reni). Valgono per questa prevenzione i consigli degli esperti della Fondazione Veronesi.
Per una diagnosi di infarto miocardico acuto si parte dalla storia familiare e clinica del paziente, seguita da esami di laboratorio e da indagini strumentali: le analisi del sangue co-markers specifici di necrosi del miocardio, elettrocardiogramma che segnala i cambiamenti delle onde elettriche del muscolo cardiaco ed eventuali aritmie (battiti anomali del cuore), radiografia del torace, ecocardiografia, angiografia coronarica per individuare le ostruzioni presenti nelle arterie, angioplastica per ripristinare il flusso di sangue con l’impianto di uno o più stent. Le cure attuate in reparto intensivo dipendono dal tipo di infarto e dalla sua gravità, ma sono ormai standardizzate da precise linee guida. L’intervento più necessario ed urgente è il ripristino e il mantenimento del flusso sanguigno.
Le terapie farmacologiche impiegate consistono in trombolitici, acido acetilsalicilico (la vecchia aspirina), eparina, antidolorifici, nitroglicerina, beta-bloccanti, ipolipemizzanti, morfina, ACE-inibitori. Oltre all’angioplastica con stent coronarici, si ricorre nei casi più seri all’intervento di bypass coronarico. Dopo la dimissione, nel cosiddetto post-infarto, il paziente deve adottare una serie di precauzioni onde evitare eventuali recidive. Si tratta di terapie ipolipemizzanti da assumere in maniera continuativa come prescritto dal cardiologo curante, controlli periodici, riabilitazione cardiologica, modificazione dello stile di vita, abolizione del fumo, attività fisica regolare e moderata, alimentazione sana. Oltre a ridurre il rischio di incorrere in un secondo evento ischemico, l’obiettivo di queste misure è migliorare la qualità della vita, favorendo un ritorno alla normalità.
«Ci sono margini rilevanti per ridurre la mortalità post-infartuale dei pazienti e per tali ragioni si è voluto verificare cosa succede nei nostri centri di cardiologia, con il preciso intento di migliorare il governo clinico e la gestione del paziente - conclude Furio Colivicchi, direttore Cardiologia clinica e riabilitazione all'Ospedale San Filippo Neri di Roma e coordinatore nazionale del programma Audit clinico di ANMCO - Oltre a importanti indicazioni in termini di epidemiologia clinica, si è scoperto che i pazienti ricoverati per infarto cardiaco acuto sono molto più anziani che in passato e di conseguenza con più fattori di rischio, molto spesso infarti pregressi, la maggioranza viene sottoposta ad angioplastica e coronarografia, l’Audit ha messo in luce anche la rivoluzione nell’approccio terapeutico dell’ipercolesterolemia e l'impiego crescente dei farmaci biologici innovativi per ridurre il colesterolo LDL nella fascia dei pazienti più a rischio di successivi eventi ischemici. Parte integrante di questo programma è la possibile continuità assistenziale ospedale-territorio, in modo da non disperdere quanto si fa durante il ricovero e aiutare i pazienti ad affrontare la riabilitazione cardiologica, continuare nel tempo i controlli e proseguire a domicilio le terapie avviate in ospedale».
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