L’INTERVISTA
«Nel calcio giovanile il talento va difeso»
Il ministro Andrea Abodi a tutto campo, dal pallone alle Olimpiadi 2026. E riflette sul perché l’Italia non va ai Mondiali da 12 anni. «Verrò a Varese»

Nell’agenda del ministro Andrea Abodi c’è un paio di appuntamenti che, appena possibile, vorrebbe prendere a Varese: ad esempio visitare due vecchi impianti ristrutturati, anzi ringiovaniti, come la Itelyum Arena e la Acinque Ice Arena. Ma fra basket e hockey su ghiaccio, passando da nuoto e ciclismo, sarà il canottaggio ad avere maggiori possibilità d’incontro: «L’ho promesso. Al ministro Giorgetti che è di quelle parti ma anche al presidente Tizzano. Fra l’altro, io vent’anni fa ho fatto una gara sul lago di Varese, quando mi divertivo con il Circolo della Canottieri Lazio nelle gare Master. Sorpresa, eh?».
Varese terra di sport e di campionissimi ma anche di sconfitte morali, come quella di fine 2024: il campione di nuoto Nicolò Martinenghi, oro olimpico, costretto a trasferirsi dal Varesotto a un impianto natatorio di Verona per potersi allenare.
Ministro, in quanto a piscine qui siamo proprio messi male...
«Beh, se Martinenghi fosse nato in una provincia del Sud non sarebbe neanche partito, non ne avrebbe avuto la possibilità. Quindi noi dobbiamo lavorare su un doppio binario: preoccuparci di dove non c’è quasi niente e dare di più dove c’è già qualcosa. Fermo restando le altre priorità, anche lo sport in termini di investimenti pubblici deve acquisire un po’ più di tono. Ma se l’80% delle strutture sportive non ha fatto l’efficientamento energetico non basteranno mai i contributi che diamo. Quindi l’esperienza di Martinenghi deve servire, non solo a Varese, a comprendere che occorre uno sforzo più significativo: diversamente, è evidente che le piscine, energivore come i palaghiaccio, saranno sempre più complicate da gestire e probabilmente destinate alla chiusura».
Quello che resterà nei territori è la vera ragione degli investimenti per le Olimpiadi di Milano-Cortina: parole sue. Un modo per sviare chi polemizza sui cantieri?
«L’esperienza maturata in tanti anni e in tanti ruoli mi ha portato a dare sempre più importanza all’eredità: che cosa resta di un investimento pubblico? È un po’ la cultura che alimentò le Olimpiadi di Roma 1960, che lasciarono un segno in termini di crescita della città. Ecco, io mi auguro che anche Milano-Cortina 2026 possa perseguire tale obiettivo. Le opere pubbliche realizzate, che si stanno realizzando e da realizzare rappresentano un patrimonio che non può che essere apprezzato dall’opinione pubblica: altrimenti le Olimpiadi restano un meraviglioso evento sportivo, che si apre e si chiude».
Insomma, polemiche finite?
«Le polemiche continueranno a esserci, perché ci è stato contestato il fatto di non avere realizzato tutte le opere. Quando si fa un Masterplan olimpico è chiaro che ci si mettono dentro opere, come tangenziali o varianti, che magari si aspettano da trent’anni. Ma sin dall’inizio il Governo si è posto il problema di non avere cantieri aperti durante i Giochi, quindi inevitabilmente abbiamo dovuto fare una scelta fra opere indifferibili e differibili. Ed è una scelta della quale ci assumiamo la responsabilità».
Lei si è detto contrario all’esclusione di Israele dalle Olimpiadi, affermando che lo sport deve unire e non dividere. Però ha detto sì all’esclusione della Russia, scatenando un putiferio.
«Devo dire che ogni giorno che passa, ed è passato più di un mese, quella mia risposta avrebbe bisogno di correzioni perché oggettivamente la cronaca da Gaza ci sbatte in faccia una situazione insostenibile. Resta il fatto che lo sport deve ritrovare il ruolo che ha perso: svolgere una funzione diplomatica. È esattamente quello che tenta di fare il nuovo presidente del Cio, Kirsty Coventry, e noi cercheremo di essere al suo fianco, non solo dal punto di vista sportivo».
A proposito di esclusioni, sono dodici anni che la nostra Nazionale di calcio non riesce a qualificarsi ai Mondiali: non crede che ciò sia dovuto anche al fatto che in Italia le nuove leve giovanili non vengono aiutate a crescere?
«È evidente che c’è un problema strutturale sulla ricerca e la crescita del talento italiano. Forse dovremmo concentrarci senza reticenze su questi temi. Perché se la base viene meno, è normale che ci si affidi all’usato sicuro o allo straniero insicuro. Io credo che il talento nel calcio giovanile ci sia, ma il talento va estratto, riconosciuto, allenato e difeso e noi questo non lo stiamo facendo».
Basterebbe imitare la Germania: dopo zero medaglie dal 2006, nel 2022 la Nazionale maschile di basket ha vinto il bronzo agli Europei e ora è campione d’Europa. I tedeschi si sono rimboccati le maniche con interventi nelle scuole e incentivi alle singole società...
«Diceva Mandela che non si perde mai: o si vince o si impara. Quando noi italiani perdiamo, molto spesso discutiamo, polemizziamo e andiamo avanti. Altri invece hanno l’orgoglio di fermarsi a capire il perché di una sconfitta. Se alla fine i risultati arrivano ci sarà pure una ragione».
Fare sport in Italia, a partire dal calcio, per i giovani non è più un diritto ma un privilegio: incide molto sui bilanci familiari.
«L'ultima misura l'abbiamo approvata nell’ultima Finanziaria e si chiama Dote Famiglia, sta partendo adesso con i primi 30 milioni: destiniamo contributi di 300 euro per un massimo di due figli alle famiglie con un Isee fino a 15mila euro...».
Però soffre anche il ceto medio.
«Non c’è dubbio, ma dobbiamo partire da chi ha più bisogno. Dobbiamo mettere un po' d'ordine in una serie di strumenti di supporto alle famiglie che i Comuni, le Regioni e anche il Governo hanno posto in essere ma viaggiano separatamente».
Resta il fatto che nella scuola lo sport ha un ruolo marginale: poche ore e strutture inadeguate.
«Il miliardo destinato dal ministro Valditara alle palestre scolastiche va proprio nella direzione di porre l’attività motoria al centro del modello educativo, tanto più nel programma didattico. Il presidente Giorgia Meloni in campagna elettorale parlò di modello Islanda, dello sport come antidoto alle devianze giovanili: è l’impegno che ci siamo assunti».
Intanto i giovani sono assuefatti dallo sport in tv: guardano gli highlights, non la partita intera.
«Avere un figlio di 15 anni mi aiuta a fare delle riflessioni. I giovani di oggi hanno bisogno di ritmi più incalzanti e il calcio ha tempi diversi: secondo me la quantità dell’offerta televisiva è un problema che bisogna porsi. Resta il fatto che allo stadio vedo una quantità enorme di bambini e adolescenti. Significa che lo spettacolo dal vivo conserva il suo fascino e credo sia importante promuoverlo, anche attraverso nuovi stadi...».
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