LA MOSTRA
Picasso? Straniero e immigrato
Si racconta la sua condizione di straniero in Francia. Al Palazzo Reale di Milano più di 90 opere, lettere, documenti, fotografie e video
«Straniero n. 74.664». È il titolo del fascicolo che la polizia francese aprì su Pablo Picasso, poco dopo il suo arrivo a Parigi, nel giugno del 1901. Da questo momento il giovane spagnolo fu visto come sospetto, destinato a rimanere sotto sorveglianza speciale per tutta la vita. Per lo stesso motivo, nel maggio 1940, gli venne rifiutata la cittadinanza francese e al contempo le sue opere vennero escluse dalle collezioni nazionali (fino al 1947 con la generosa donazione dell’artista per il futuro Musée national d’Art Moderne), con l’episodio eclatante del gran rifiuto che il Louvre oppose alla donazione delle Demoiselles d’Avignon, opera già famosa soprattutto in America e oggi custodita al Metropolitan Museum di New York. Genio indiscusso e artista rivoluzionario, all’inizio del secolo scorso Picasso, partito non ancora ventenne da Malaga, entrò a Parigi “dalla porta di servizio”, senza un soldo e senza conoscere la lingua.
Da qui ha inizio il lavoro di Annie Cohen-Solal, sei anni di ricerche confluite nel saggio Picasso. Una vita da straniero (Marsilio), cuore pulsante delle due mostre da lei curate sul grande artista spagnolo: Picasso lo straniero, a Palazzo Reale a Milano e Picasso a Palazzo Te. Poesia e salvezza, a Mantova (fino al 6 gennaio 2025). Le mostre di Mantova e di Milano nascono dalla collaborazione con il Musée National Picasso-Paris e fanno emergere un Picasso radicalmente sconosciuto, in risonanza con il nostro contemporaneo: il poeta e lo straniero. L’esposizione di Palazzo Te presenta circa 50 opere del maestro, tra disegni, documenti, sculture e dipinti. A Milano, attraverso un percorso cronologico, che presenta circa ottanta opere per la prima volta esposte in Italia - tra dipinti, disegni, sculture, ceramiche, collage, stampe, oltre a documenti, fotografie, lettere e video, in prestito dal MNPP e dal Musée National de l’Histoire de l’Immigration di Parigi - offre un percorso di lettura storico-sociale con un ricco apparato di documenti, foto, lettere e video. Si fa corpo l’immagine di un Picasso vulnerabile e precario, consapevole di poter essere espulso dalla Ville Lumière in qualsiasi momento a causa di sospetti infondati. L’amicizia con il gruppo di catalani emigrati da un lato gli consentì di accedere all’ambiente artistico parigino, ma si trasformò anche in una trappola, racconta Cohen-Solal, in quanto questi giovani, che già vivevano in una sorta di ghetto a Montmartre, erano stati schedati come anarchici. Tuttavia, «nonostante la sua vulnerabilità, Picasso ha saputo navigare da grande stratega contro la xenofobia diffusa e reagire con un genio politico straordinario». Tra gli amici dei primi anni c’era anche Carlos Casagemas, l’amico spagnolo morto suicida. Con il capolavoro del 1901, La morte di Casagemas, si apre il percorso della mostra milanese che segue poi le varie fasi della vita del maestro. Nelle prime opere dipinge gli emarginati, come lui: sono i lavori del cosiddetto periodo blu, che vede tra i suoi capolavori la grande tela Les Saltimbanques, conservata a Washington e presentata a Milano tramite una riproduzione. Sono sei personaggi – tra cui l’autore, rappresentato come Arlecchino – «girovaghi, anche più fuggitivi di noi», scriverà in seguito Reiner Maria Rilke. Il percorso prosegue, raccontando gli anni di miseria, la vita al Bateau-Lavoir (lavatoio galleggiante), uno dei fabbricati più fatiscenti della capitale, luogo di ritrovo di artisti e intellettuali, l’incontro con la famiglia di Leo Stein, primo collezionista e mecenate generoso in anni bui, la guerra e Guernica, l’impegno civile, fino alla scelta di trasferirsi nel Sud della Francia, in un clima multiculturale, lavorando con gli artigiani locali e scoprendo la ceramica che nelle sue mani diventa un nuovo strumento di espressione creativa. «Picasso si “butta” nel Mediterraneo, si reincarna nei ceramisti del passato, va a Roma, Pompei, si ispira all’antichità», racconta sempre la curatrice.
Fino alla scomparsa, il maestro di Malaga rimane lontano dall’establishment parigino, che tuttavia e finalmente, nel 1955 ne riconosce il talento con una grande antologica al Musée des Arts Décoratifs: un enorme successo che lo consacra ufficialmente. Nel 1966 ormai celebrato in tutto il mondo, l’artista rifiuta la Légion d’Honneur, il massimo riconoscimento dello Stato francese, arrivato troppo tardi.
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