LA MOSTRA
Quello che vedete non è quel che sembra
Al Labirinto della Masone sono una quarantina le sculture in mostra. Le creazioni del duo Bertozzi e Casone riescono sempre a stupire
Niente è quello che sembra. Difficile distinguere tra finzione e realtà quando si tratta del duo Bertozzi e Casone. Un sodalizio artistico inedito, nato a Imola nel 1980 e composto da Giampaolo Bertozzi e da Stefano Dal Monte Casoni, scomparso nel 2023. Artisti emiliano-romagnoli, entrambi formatisi nel campo della ceramica faentina, hanno sempre privilegiato questo mezzo espressivo, elevandolo da un ruolo secondario (di arte minore, si sarebbe detto fino a non molto tempo fa) a protagonista assoluto nelle loro creazioni iperrealistiche, vere e proprie prove di bravura e ricercatezza tecnica e formale. All’inizio del nuovo millennio hanno abbandonato la tradizionale tecnica della maiolica dipinta per sperimentare materiali e tecnologie industriali. Questo approccio ha permesso loro di ottenere una resa ceramica estremamente realistica, al limite dell’inganno visivo. Le loro nature morte sfilano lungo il percorso museale del Labirinto della Masone, un luogo magico fortemente voluto e creato da Franco Maria Ricci all’inizio di questo secolo per ospitare la sua collezione eclettica oltre che la casa editrice omonima. Le quaranta sculture in ceramica raccolte nella mostra sono accomunate dall’unica riflessione sul complesso rapporto tra uomo e natura oggi. La serie dedicata alle stagioni, che richiamano le famose tele di Arcimboldo, vero e proprio trionfo di frutta e verdura, si ampliano con la Quinta stagione, che prende forma da plastica, cavi, scarti dell’uomo. Inizia cosi la riflessione dei due artisti che sfocia nelle opere successive, iconica condanna dello sfruttamento della natura e della sua conseguente distruzione, ritratto crudo e realistico della società consumistica contemporanea, cristallizzata e sospesa nel tempo. Nel percorso di incontrano infatti animali imprigionati in sacchi di plastica e sopra a barili colmi di petrolio, fino ad arrivare all’enorme Caretta Caretta, creata appositamente per questa mostra: una tartaruga marina che giace su un tavolo veterinario, impigliata nelle reti da pesca gettate dall’uomo, e che forse però proprio grazie all’intervento umano potrà salvarsi. Nell’ultima sala del percorso, la riflessione costruita con le opere in mostra si evolve verso una nota di speranza. Qui sono infatti esposte nuove forme di vita che emergono dalle macerie del disfacimento umano, con animali e piante che ritornano a popolare ambienti sporcati dall’uomo e fiori che ricrescono su zolle piene di sigarette e cartacce. Il recupero di oggetti “abbandonati”, a volte sporchi, comunque silenziosi e inermi, riporta a una seconda vita gli stessi oggetti, anche grazie allo sguardo dell’osservatore che si trova a osservarli fuori dal loro contesto quotidiano, trasformandoli in opere d’arte.
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