L’INTERVISTA
Sarah Nidoli e la Grande Mela

È nel suo Dna. Se c’è da correre, lei corre. L’ha sempre fatto, sin dalle scuole dell’obbligo. Campestri, staffette, 100 metri. «Io c’ero sempre». Una passione mai abbandonata, un’attitudine innata per Sarah Nidoli, ex assessore a Varese, oggi imprenditrice di successo. Col passare degli anni l’istinto per la corsa non è scemato, anzi le distanze si sono allungate. È arrivata alla mezza maratona («La prima a settembre dello scorso anno, il Giro del Lago di Varese, con un buon risultato, 1 ora e 54 minuti»).
E poi il salto, oltreoceano, nella Grande Mela: la maratona di New York. Un’avventura indelebile, un caleidoscopio di emozioni. «La preparazione non è coincisa con un periodo di privazioni, mangio e bevo regolarmente. Però, com’è ovvio, ho aumentato il tempo dedicato agli allenamenti. E tutto è reso più facile dal fatto di condividere la stessa passione con mio marito Malek. La pista ciclabile attorno al lago è perfetta, anche se presenta dei punti critici: ad esempio non ci sono fontanelle né sufficienti punti di ristoro. E purtroppo non è illuminata, per cui puoi allenarti solo di giorno. Ci si dovrebbe pensare, gli sportivi sono sempre di più».
Tre allenamenti settimanali di un’ora e mezza al massimo, poi il “lungo” di sabato, oltre due ore. «Quando ti alleni per la maratona - spiega Sarah Nidoli - non tocchi mai le quattro ore e mezza di corsa né i 42 chilometri. Ci arrivi soltanto nel giorno dell’evento.
Fondamentale usare una delle app create per la corsa, ma ancor più cruciale la nutrizione: anche i muscoli “mangiano”. Ed è un particolare che non puoi permetterti di sottovalutare».
Quattro mesi di preparazione, poi il momento del decollo. «Siamo partiti qualche giorno prima, anche per poter rivisitare la città. Non ci tornavo da anni, è molto cambiata ed è un cantiere a cielo aperto, una metropoli in costante evoluzione. Allenamenti? No, abbiamo camminato tanto ma mai corso».
E poi arriva il giorno della maratona. «Adrenalina da subito, sin dalle 6 del mattino - svela l’imprenditrice varesina -. Colazione abbondante, poi il trasferimento in pullman a Staten Island, il traghetto, l’arrivo sul ponte di Verrazzano alle 8. L’attesa è stata un po’ lunga: la partenza è stata data alle 11».
Abbigliamento classico: pantaloni tecnici lunghi, maglietta tecnica a maniche lunghe. «Scarpe nuove? Le avevo, ma all’ultimo ho scelto quelle vecchie. E poi il cellulare: niente cuffiette, l’ho usato per fare foto e video. Abbiamo corso insieme per 15 chilometri, poi mio marito si è fatto male, ma l’organizzazione è strepitosa. Ogni chilometro c’era un centro medico. Mi sono fermata anch’io ed ero intenzionata a non proseguire. Però Malek mi ha spinta a correre ancora: “sei preparata, puoi farcela da sola”. E allora ho ripreso a correre, ho recuperato il mio gruppo e ho trovato una pace makerstraordinaria: si chiama Yoshiko e negli ultimi 5 chilometri è stata fondamentale per me. È simpatica, mi ha intrattenuto e incitato. Ho visto attorno a me tante persone che sono state costrette a fermarsi per crampi o infortuni, a me non è successo e sono stata trascinata anche dalla gente: c’è un tifo pazzesco, ogni quartiere della città propone musica diversa, ti offrono da mangiare e da bere. Ero sola ma non mi sono mai sentita sola. Alla fine, pur con il lungo stop per assistere Malek, ce l’ho fatta in 4 ore 29 minuti e 43 secondi. Ricevere la medaglia è stato il dono più prezioso. Torni a casa e ti senti un supereroe, viaggi a un’altezza diversa. Una sensazione difficile da esprimere, ma è quel che ho provato: superi i limiti che pensi di avere… Avrei voluto tornarci quest’anno per il 50° anniversario della Maratona di New York ma i posti erano già esauriti. Così io e Malek ci riproveremo a Berlino a fine settembre. Ci stiamo già allenando. Ma ora correre per 10 chilometri è come fare una passeggiata...».
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