CURIOSITÀ
La sopravvivenza degli animali

Turbamento, tachicardia, respiro accelerato, ansia, sino al raggiungimento di veri e propri attacchi di panico, che inducono a reazioni inconsulte e incontrollabili. Questi sono i sintomi che normalmente affliggono tutti coloro che soffrono di zoofobie. In particolare la paura dei serpenti, la cosiddetta ofidiofobia, è tra le fobie indotte dagli animali, la più diffusa.
Sono ormai in molti gli scienziati evoluzionisti a ritenere il timore per i serpenti un comportamento istintivo, che affonda le sue radici agli albori dell’evoluzione dei primati. Questa reazione deriva dal fatto che, per i nostri antenati, questi rettili costituivano un reale pericolo di vita, per il quale era più che lecito allarmarsi all’inverosimile.
Alcuni studi evidenziano anche che il sistema visivo dei primati si sarebbe col tempo specializzato proprio per distinguere la sagoma allungata e sinuosa dei serpenti. I tanto vituperati rettili striscianti avrebbero avuto quindi un ruolo chiave nel selezionare alcune importanti caratteristiche cerebrali dei comuni antenati di uomo e scimmie. Questa specializzazione visiva dei primati è dovuta ad un gruppo di neuroni posizionato nel sistema nervoso centrale, in una parte evolutivamente molto antica del cervello: il talamo. Quelli dell’uomo sono neuroni particolarmente sviluppati e con caratteristiche uniche rispetto a quelli di altri animali che concorrono a indirizzare l’attenzione visiva sui dettagli e a riconoscere potenziali minacce.
Noi Sapiens, come i nostri più simili “cugini” Primati, abbiamo inoltre subito un progressivo incremento delle porzioni di corteccia cerebrale, che sono in relazione alla visione dei colori. L’importanza della vista nell’evoluzione dei Primati è piuttosto evidente. Gli occhi raccolgono molte informazioni sulla dimensione, il colore, il movimento, la forma e la distanza di un oggetto.
Immaginiamoci quindi con quale stupore, con che meraviglia e con che entusiastico interesse ci approcciamo, sfruttando il nostro principale senso di ricezione degli stimoli, alle mutazioni di forma e colore che sono proprie di molti animali (e vegetali) che adottano strabilianti strategie di mimetismo.
Questo fenomeno per cui alcune specie animali assumono, per trarne vantaggio, colori e forme dell’ambiente in cui vivono, può presentarsi sotto una duplice forma. Il mimetismo criptico (detto anche criptismo), che permette agli organismi che lo adottano, attraverso l’assunzione di forme, colorazioni e comportamenti particolari, di ingannare le prede o di sfuggire alla vista di potenziali predatori. Questa capacità, che molti animali hanno, di armonizzare la loro colorazione con quella del substrato su cui vivono, non rappresenta però la forma di mimetismo più sensazionale.
Nel vero e proprio mimetismo, detto fanerico (ossia manifesto, evidente), individuiamo sempre un organismo modello (il punto di riferimento al quale tendere) e un organismo mimo, che nel corso del tempo ha messo a punto un sistema quasi perfetto per imitare le caratteristiche del suo “ideale”, in genere assai appariscenti. Questa modalità infatti non induce a “sparire alla vista”, bensì a porsi bene in mostra, imitando un’altra specie, allo scopo di trarne vantaggio.
Un esempio classico in tal senso sono le colorazioni aposematiche, ossia che imitano quelle di specie tossiche o disgustose, da parte di specie che non posseggono queste caratteristiche, per evitare di essere predati. Adottato ormai come consolidato esempio didattico è la convergenza cromatica del serpente del latte (Lampropeltis triangulum), un colubride innocuo, che imita il serpente corallo (Micrurus fulvius), un elapide estremamente velenoso, entrambe specie americane.
L’alternanza della colorazione a bande trasversali gialle, rosse e nere non è perfettamente sovrapponibile, ma certamente confonde qualsiasi specie che deve effettuare un riconoscimento rapido, al primo sguardo. Addirittura in America è diffusa una filastrocca in rima per facilitare il riconoscimento attraverso le sequenze di bande colorate di questi serpenti, e suona più o meno così: «Nero su giallo, è il serpente corallo, rosso su nero, non è il corallo vero».
Anche in Italia esiste questo particolare fenomeno mimetico. Pensiamo alle decine di specie di innocue mosche sirfidi, dei ditteri floricoli di modeste dimensioni, che hanno una colorazione del tutto simile alle vespe, imenotteri che incutono decisamente maggior rispetto, anche in relazione alla presenza dell’aculeo e al comportamento decisamente più aggressivo.
Normalmente i colori aposematici, questi segnali di allarme naturali, utilizzati dalle varie specie sono pochi ed ampiamente utilizzati anche da specie profondamente differenti da un punto di vista evolutivo. I colori principali sono il giallo, il rosso, l’arancio e l’azzurro, in genere collocati su uno sfondo tale da esaltare il contrasto (una colorazione bruno-scura, nera o bianca).
Accostamenti particolarmente diffusi sono il rosso e il nero e, ancora di più, il giallo e il nero, segnale cromatico ampiamente adottato anche dalle nostre salamandre, le cui ghiandole cutanee possono infatti secernere una sostanza irritante per le mucose (bocca e occhi) rappresentando una efficace difesa contro i predatori.
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