IN SCENA
Arlecchino: un’opera storica che è come un “filo” tra generazioni
Al Piccolo Teatro Grassi il riallestimento dello spettacolo di Giorgio Strehler
Il ritorno al Piccolo Teatro Grassi di Milano di «un classico che ha fatto la storia del teatro italiano dal secondo Novecento e che in qualche modo, grazie a una sistematica esportazione del modello della tournée, ha innervato di fatto l’intero pianeta, facendone una sorta di spettacolo “nostrum” con parametri che ne sono chiavi di lettura». Così Claudio Longhi, direttore del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, presenta la ripresa in stagione fino al 17 novembre del «riallestimento in una nuova edizione» di Arlecchino servitore di due padroni (@Masiar Pasquali) di Carlo Goldoni, lo storico spettacolo di Giorgio Strehler nella nuova messa in scena di Stefano de Luca. A cui, ammesso al corso per attori Jacques Copeau della Scuola di Teatro del Piccolo, fu proprio Strehler a mettere in mano, nel 1987, quel copione con gli appunti degli attori che si erano susseguiti nelle interpretazioni da quel 1947. Con già vivo quel bisogno di rinnovamento, pur con un filo che questo spettacolo lo lega sempre al passato, pur lanciandolo verso il futuro, quasi in una sorta di passaggio del testimone che si ripete anche in questa nuova edizione. Accanto ad Enrico Bonavera, che interpretava il capocameriere nell’edizione del 1986/87, poi Brighella e che da Ferruccio Soleri ha ereditato il ruolo di Arlecchino, in alcune repliche di questa messa in scena il ruolo del protagonista sarà di Andrea Coppone, al suo debutto nei panni del “batòcio”. E attorno, giovani attori diplomati alla Scuola di Teatro del Piccolo “Luca Ronconi”, nuova e futura generazione di attori a cui viene qui dato spazio. «Il titolo di questa stagione del Piccolo, I fili dell’orizzonte, mi è sembrato appropriato per questa operazione su Arlecchino – spiega de Luca -. Ci muoviamo sul filo fra la tradizione della Commedia dell’Arte e il 1947, quando Strehler fa di questo spettacolo terreno di esplorazione su stesso fino a questo esperimento che ci dà l’opportunità di superare il tempo. Il filo tende a unire le persone, rimanda al ricamo, al creare qualcosa di meraviglioso da una frattura, proprio come il costume di Arlecchino, che è un atto poetico dalla povertà, dalla lacerazione». E anche lo stesso passaggio del testimone in alcune repliche appunto da Bonavera a Coppone segna metaforicamente il senso del “filo”, del dialogo tra generazioni per un’opera che, nella produzione del Piccolo, a oggi ha superato le 3017 repliche, di cui oltre trecento proprio con Bonavera nei panni di Arlecchino. «Ciò che ho compreso – aggiunge proprio Bonavera – è che “Arlecchino” crea fratellanza, comunità, non solo degli attori in scena: lo spettatore assiste alla metafora ideale di come si dovrebbe vivere nel mondo». Con la replica di sabato 9 novembre preceduta da un touch tour dei costumi e della scenografia per rendere accessibili gli spettacoli dal vivo a un pubblico cieco e ipovedente, e con diverse iniziative “oltre la scena” che comprendono al Chiostro Nina Vinchi alle 18 di martedì 5 una conversazione che tocca i temi della fame di Arlecchino, della maschera e della rinascita, in un confronto tra Stefano de Luca, Alberto Grandi, docente di storia del cibo all’Università degli Studi di Parma, e Ivan Bargna, professore di antropologia estetica all’Università di Milano Bicocca, l’8 e il 15 novembre alle 18 incontri pre-spettacolo tra pubblico e operatori e domenica 10 alle 11 uno workshop aperto condotto da Bonavera, questo Arlecchino servitore di due padroni rinasce per la dodicesima volta in settantotto anni sul palco di via Rovello, con musiche suonate dal vivo.
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