ARTE
In mostra i maestri del Rinascimento veneto

Manca solo il cielo azzurro e fulgente di certe soleggiate mattinate invernali e l’inarrestabile sciabordìo, secolare ed interminabile, delle acque che battono le briccole e le fondamenta petrose dei suoi edifici, per il resto, nel titolo, c’è già tutto, o quasi. “I colori della fede a Venezia: Tiziano, Tintoretto, Veronese”, visitabile fino al 5 marzo a Cuneo (Complesso monumentale di san Francesco).
GLI ARTISTI DEL CINQUECENTO
Ci sono i nomi degli artisti, vale a dire le personalità che hanno dominato la scena artistica veneziana nella seconda metà del Cinquecento, che portarono a compimento il rinnovamento della pittura iniziato da Giorgione, in area veneta, prima, e poi diffusosi oltre i confini (la mostra concentra tutta la sua attenzione sul quinquennio 1560-1565). C’è l’indicazione geografica: Venezia, appunto di cui il progetto espositivo, ordinato da don Giovanni Caputo e da Giovanni Carlo Federico Villa, si sforza di recuperare l’atmosfera culturale, artistica ma anche politica.
I COLORI DEL RINASCIMENTO
Ci sono i colori che introducono la locale alternativa al Rinascimento fiorentino e romano, il celebre colorismo veneziano, che puntò, per la speciale sensibilità dei lagunari, sul colore come principale elemento plastico-emotivo del fare pittura. Questa scelta espressiva, definita pittura tonale, abbandonava il disegno e quindi il reticolo prospettico ricorrendo a gradazioni luminose e a piani di colore, ridotti ad unità con equilibrati accordi cromatici, per costruire l’immagine. C’è infine la fede.
LE OPERE IN MOSTRA
Sono presenti opere, infatti, che raffigurano momenti fondanti la nostra religione: l’”Annunciazione” (1563-1565) di Tiziano; il “Battesimo di Cristo” (1560-1561) e la “Resurrezione di Cristo”(1560), entrambe del Veronese; l’”Ultima cena” (1561-1566) e la “Crocifissione” (1560) di Tintoretto. La cui bellezza, in momenti di smarrimento e povertà spirituale, è giusto ricordare con il potente appiglio degli splendori dell’arte. Un’ultima notazione. Proprio la fede è stata il nucleo palpitante attorno al quale John Ruskin (scrittore, viaggiatore, utopista inglese del XIX secolo) ha scritto il suo atto d’amore nei confronti della città. Con uno sguardo affatto personale, intenso e sincero ne ha seguito lo sviluppo, rintracciandone le vicende nel manifestarsi delle opere della sua storia artistica e architettonica; e pur nello splendore dell’arte rinascimentale, la Fede s’era fatta, alla fine, carnale e non poteva che trascinare con sé la prosperità decadente di quella città che, animata invece da Fede spirituale, era stata “il fermaglio dorato della cinta terrestre”.
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