CASO MACCHI
Binda: «Sconcertato dallo stop all’indennizzo, ma vado avanti per avere ciò che è giusto»
La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta di risarcimento rinviando a un appello bis
Stefano Binda è «davvero sconcertato». Ma andrà avanti «a chiedere il giusto per quei miei tre anni e mezzo di carcerazione preventiva che, alla luce della sentenza di assoluzione, non avrei dovuto patire». Binda non molla di un centimetro. Anche se non fa mistero di tutta la propria amarezza dopo aver appreso la notizia della decisione della Corte di Cassazione di annullare l’ordinanza con la quale, non più tardi dell’ottobre scorso, i giudici della quinta Corte d’Appello di Milano, accogliendo l’istanza dei suoi due difensori, gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli, avevano giudicato come ingiusta la detenzione al quale è stato sottoposto il brebbiese riconoscendone il diritto all’indennizzo a titolo di riparazione quantificato in 303mila euro. Una somma ricavata moltiplicando la cifra standard di 235,87 euro per i 1.286 giorni trascorsi in carcere dall’allora indagato e poi imputato per l’omicidio della ventenne Lidia Macchi, conosciuta ai tempi del Liceo Cairoli e della comune frequentazione degli ambienti di Comunione e Liberazione.
LO SFOGO
«Da quando la sentenza della mia assoluzione è diventata definitiva, e cioè dal 27 gennaio del 2021, il mio è stato un continuo aspettare», racconta. «I miei due difensori hanno presentato l’istanza di indennizzo a titolo di riparazione a mio favore nel maggio di due anni fa e quell’istanza è stata discussa in aula nel giugno dell’anno scorso. L’ordinanza che ha disposto l’indennizzo è arrivata quattro mesi più tardi, ma la Procura Generale ha ricorso in Cassazione e qui ho ricominciato ad aspettare. L’atto di impugnazione doveva essere discusso a marzo, ma la Cassazione ha rinviato a giugno. Ora. Dopo aver appreso l’esito della sentenza della Cassazione posso dire che ho dovuto attendere sin qui per sapere che dovrò aspettare ancora un tempo infinito per conoscere quale sarà l’esito della mia istanza. Credo che tutto questo sia terrificante…».
IL NUOVO GIUDIZIO
Che questo round dello scontro giudiziario tra la Procura Generale di Milano e la difesa del cinquantacinquenne di Brebbia la sera dell’assoluzione in Cassazione) sia stato vinto dalla prima appare inconfutabile. C’è però un ma. Nel senso che i giudici della quarta sezione della Corte di Cassazione hanno sì annullato l’ordinanza impugnata che dava il via libera al risarcimento, ma nello stesso tempo hanno «rinviato per nuovo giudizio» a un diverso collegio giudicante della Corte d’Appello. In altre parole, la questione sulla richiesta di indennizzo è ancora aperta. Con le parti ferme sulle rispettive convinzioni. La difesa sostiene da sempre che Binda «non ha mai tenuto un comportamento gravemente colposo o comunque tale da lasciare supporre agli inquirenti che fosse coinvolto a pieno titolo nell’omicidio di Lidia Macchi e, di conseguenza, dovesse essere sottoposto a custodia cautelare». Inoltre la difesa sostiene che non può essere ritenuto gravemente colposa la scelta dell’allora indagato di essersi avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip del Tribunale di Varese Anna Giorgetti dopo il suo arresto del 15 gennaio 2016. A seguire le argomentazioni del sostituto pg Laura Gay, sarebbe stato proprio Binda «con la condotta mendace e fortemente equivoca tenuta dall’allora imputato negli interrogatori a contribuire a creare concorso nell’errore dei giudici».
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