LINGUAGGIO
Bugghiamoci in questo mondo di parole nuove
I neologismi a cui ci siamo ormai abituati sono stati creati da illustri letterati molto tempo prima. Lo slang giovanile nasce per allontanare il mondo degli adulti e creare una maggiore coesione interna

Se c’è una cosa che gli adolescenti definiscono “cringe” è un boomer che ogni mattina invia una gif per augurare il buongiorno a tutti i contatti della sua lista WhatsApp. Se poi il boomer in questione non sa di essere un boomer, perché non ha la più pallida idea del significato del termine, e, peggio ancora, non ha la più pallida idea di che cosa significhi essere cringe, allora siamo davvero nel pieno di uno scambio linguistico generazionale. Uno di quelli per cui, oggi come ieri, o forse anche un po’ più di ieri, si sente spesso dire che i giovani di oggi sono complicati da capire. Partendo proprio da quanto, agli occhi e alle orecchie adulte, è il linguaggio che usano.
Una “non comprensione” che può anche essere qualcosa di “giusto così”. Come spiega Beatrice Cristalli, linguista e studiosa dell’evoluzione dei linguaggi della contemporaneità, consulente in editoria scolastica e formatrice, dal 2017 referente regionale della Lombardia per il Premio Leopardi del Centro Nazionale di Studi Leopardiani, e autrice tra l’altro per Bur del recente Dizionario per boomer, un leggero e ricchissimo dizionario di slang della Gen Z, la generazione dei ragazzi nati tra il 1995 e il 2010. «Il discorso dei confini nelle relazioni è fondamentale – sottolinea Beatrice Cristalli –, perché i preadolescenti e gli adolescenti hanno la necessità di costruire la propria identità e il linguaggio giovanile nasce per allontanare il mondo degli adulti e creare una maggiore coesione interna. Se gli adulti superano questo confine e si appropriano dei modi e degli atteggiamenti degli adolescenti il risultato non è creare relazione, ma fare una parodia e l’effetto non è quello dell’accoglienza, ma l’opposto». Certo, questo è ben diverso dal rinunciare a ogni comprensione. «L’evoluzione – prosegue la linguista – si è sempre basata su un passaggio del testimone, ma bisogna cercare di creare un ponte vedendo i confini del ponte stesso, vedendo dove incontrarci, trovando un terreno comune senza pregiudizi».
Sin dalla sua “nascita” la lingua italiana ha accettato prestigi da altri idiomi e dialetti e si è lasciata aggiornare dalle mode e dai costumi: neologismi a cui ci siamo ormai abituati sono stati creati da illustri letterati, da Dante a D’Annunzio. Certo, oggi le caratteristiche del linguaggio degli adolescenti si modificano molto più velocemente e risentono dei tanti stimoli in cui sono immersi, primo fra tutti dal loro essere “nativi digitali”. «Utilizzano parole molto brevi – nota Beatrice Cristalli –, ma anche questa non è una novità: io sono una Millennial, nata nel 1992, e delle parole brevi ero “maestra”. Ma ora c’è la necessità di avere parole ancora più brevi perché la funzione del digitale è questa: pensiamo anche alle modalità con cui scriviamo in italiano all’interno della messaggistica. Non abbiamo una frase coesa, ma una frase frammentata, mandiamo tanti step di linguaggio che a volte perde immediatezza. E poi c’è l’utilizzo di molti acronimi, di parole inglesi, che è la lingua franca del digitale, alcune italianizzate: pensiamo a “ghostare”, “blastare”, che derivano da termini inglesi e hanno una declinazione alla prima coniugazione che dà loro un po’ il sapore dell’italiano. Ma anche a parole come “crush” che è diventata simbolo dell’amore, dell’affettività, perché è un termine neutro e i ragazzi non ci mettono l’articolo perché dà il senso di una formula più inclusiva». E non bisogna aver paura di “buggarsi” in questo grande mare linguistico: ascoltare e non aver paura di informarsi è la prima regola per comprendere.
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