DA VEDERE
Chiara Dynys: un’antologica in dodici episodi
Trentacinque anni di ricerca e attività dell’artista in una mostra diffusa nel tempo: il progetto milanese si articola in tre macro-capitoli

Inusuale quanto laborioso il progetto espositivo che la Galleria Building ha scelto per BuildingBox - la speciale vetrina che ospita annualmente opere di diversi artisti legate ad un tema specifico - che quest’anno, per la prima volta, punta l’attenzione su una singola artista: Chiara Dynys, con Private Atlas. «Mi piace sempre cimentarmi in strade nuove. Da qualche anno volevo fare una mostra che si sviluppa nel tempo. Finalmente ho trovato un artista disponibile, perché è un impegno anche per l’artista. Mi piacerebbe poterlo ripetere, ma è difficile» confida il gallerista Moshe Tabibnia. Un’antologica complessa, curata da Alessandro Castiglioni, che si concentra in uno spazio minuto per dilatarsi nel tempo, fino al 6 gennaio 2026. Dodici mesi, scanditi da quattro paragrafi per ognuno dei tre capitoli (1°: La disseminazione della memoria; 2° Attraversamenti; 3°: Viaggio in Italia), che in dodici allestimenti, come dodici carotaggi, indagheranno la trentennale storia artistica della Dynys per portare alla luce costanti formali e snodi concettuali. È Senza Titolo, 1992-1993, il primo paragrafo che si incarica di raccontare, per mezzo d’una punteggiatura fatta di piccole, disseminate “feritoie” di fogge dissimili e materiali diversi resi con-fusi dall’uniformità del bianco, gli inizi di un percorso artistico che poetizzava, allora, le severe ascendenze minimaliste, secondo una prassi, specialmente italiana, che si fa strada proprio a partire dalla generazione dell’artista mantovana; un’opera «che - dice Chiara Dynys - mi fa ripensare a degli inizi in cui non mi rendevo conto di aver fatto un lavoro un po’ precognitivo perché questo tipo di installazioni così disseminate erano, diciamo, anomali; era un’epoca di altro genere di lavori. Ma a parte questo avevo avuto l’intuizione di lavorare sul bianco. Infatti è una lavoro molto vicino alla serie Blancheur (2020) che ha avuto per tema la gipsoteca di Canova: tetragoni in cui si rispecchiano dettagli di alcune statue di Canova che ti fanno sentire in un ambiente immersivo anche se piccolo». Un’opera che a distanza di trent’anni rimane, contemporanea «proprio per il rapporto con lo spazio che interroga lo sguardo di chi lo guarda; non è solo contemplazione ma è essere attivi dentro l’opera. È un discorso che l’artista inizia negli anni Novanta ed esiste ancora oggi», ribadisce Castiglioni. Notazione a margine. Recentemente si notano, sulla scena artistica milanese, alcuni fermenti ‘fuori canone’: mostre che puntano l’attenzione su sensibilità generalmente sotto traccia o modalità espositive -come questa- inusitate; sarà interessante scoprire se stiamo assistendo ad emergenze episodiche o prodromiche.
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