DA CONOSCERE
La transumanza in Lombardia

Ogni giorno, volendo, se ne impara una nuova: è una delle cose belle della vita. Ieri ho scoperto perché il bastone dei pastori di pecore ha l’impugnatura rotonda. Serve non solo per appoggiarsi con maggiore comodità ma soprattutto per fermare gli animali dalle zampe posteriori. L’ho appreso, insieme a tante altre cose strane e curiose, leggendo un libro appena pubblicato e che si intitola Remènch (si può tradurre con ramengo, vagabondo) ed è dedicato al mondo dei pastori e alla transumanza in Lombardia, il lento andare delle greggi dalla pianura ai monti e viceversa nel corso delle stagioni.
L’ha realizzato il fotografo varesino Carlo Meazza, uno che oltre alla perizia tecnica e all’occhio con cui sa trasformare la luce in immagini, ha anche una bella tempra da cronista. Così per due anni è andato a spasso per le nostre valli, pianure e boschi, inseguendo pastori, pecore e agnelli e il loro misterioso mondo.
Dal Varesotto alla Valcamonica, dalla Valtellina alla provincia di Milano alla pianura tra Lodi e Pavia. Su e giù con pazienza, fotografando e ascoltando. E facendo tante scoperte. Ad esempio la smisurata memoria che hanno i pastori, gente abituata a muoversi come nell’antichità, con la medesima lentezza, in mezzo a una realtà come quella Padana che vive di velocità, di camion lanciati sulle autostrade, di aerei che decollano da Malpensa proprio sopra un gregge che bruca nei prati.
Quando vediamo, ai margini dell’autostrada su cui sfrecciamo veloci, un pastore con i suoi cani e le sue pecore vien da chiedersi quali misteriosi sentieri percorra per raggiungere gli alpeggi, e come faccia a trovare ovunque, in un paesaggio che sembra fatto solo di case e capannoni, prati per sfamare le bestie e boschi nei quali dormire sulle foglie. Perché fanno ancora così.
Ma eravamo alla memoria dei pastori: Meazza ne incontra due in un prato vicino a MIlano. Scatta qualche foto e ad un certo punto uno gli dice: «Ma tu, saranno un 25 anni fa, eri mica una mattina di neve in un prato a Capolago a far foto? Perché sembri quello che ha fotografato me e il Giovanni…». Era proprio lui e le foto, quelle di un quarto di secolo fa con due ragazzotti e quelle dell’altro ieri con due omoni baffuti, sono lì a testimoniarlo, nel libro edito da Publinova Edizioni Negri.
Il volume con oltre 200 scatti si avvale degli scritti di alcuni varesini di nascita o di adozione e di intellettuali e studiosi lombardi: Marta Morazzoni, Anna Carissoni (che svela i segreti del dialetto dei pastori che popolano le vallate lombarde e trentine), Giovanni Siro Mocchi, Lucia Maggiolo, Enzo Laforgia.
P.s: se vi capita di passare per la Valcuvia, date un’occhiata nei prati. Magari c’è in giro il gregge dei Binda, orgogliosi del loro blasone: “…perché di pastori in provincia ce ne sono altri, ma di varesini, pastori da generazioni, ci siamo solo noi”.
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