LA STORIA
Da Varese a Ghirla: l’ultima corsa del tramvetto bianco
L’appuntamento per il tuffo nel passato della tramvia è per venerdì 28 febbraio alle 20.45 nella sala conferenze del Maglio

C’era una volta... il tram. Esattamente settant’anni fa, domani, l’ultima corsa del tramvetto bianco da Varese a Ghirla scrive la parola “fine” sul circuito a rotaie che permetteva di raggiungere facilmente le valli intorno al capoluogo. Sia che si trattasse di viaggi di lavoro o di piacere, il mezzo di trasporto dal fascino retrò, offriva ai passeggeri, durante il percorso, la possibilità di godere delle bellezze del territorio varesino. Un tuffo nel passato, nel ricordo di questo pezzo di storia locale, sarà l’incontro organizzato l’associazione Amici del Campo dei Fiori 70 anni di nostalgia. Ultima corsa della tratta di tramvia Varese – Ghirla, 28 febbraio 1955 che si svolgerà venerdì 28 febbraio alle 20.45, nella sala del Maglio a Ghirla. Un amarcord dei bei giorni andati quando nella Città Giardino e nei suoi dintorni, sfrecciava il tram con il suo andamento lento e rassicurante, al passo con i tempi e le vite di un secolo fa. Un mezzo che riesce a diventare caratterizzante delle città in cui è impiegato per il trasporto pubblico. Basti pensare a Milano, Lisbona, San Francisco. All’iniziativa interverranno Gianfranco Benzoni, esperto di storia del tram e Paolo Ricciardi, valgannese, curatore del canale YouTube Valganna.info e cultore della mitica tramvia che chiuse i battenti settant’anni fa. Era il 28 febbraio del 1955. «Per ragioni anagrafiche – racconta Ricciardi – posso solo immaginare quell’ultimo viaggio. Una luce fioca che attraversava la valle nel buio di una sera gelida. Me lo vedo, me lo immagino, sferragliare piano piano per la Valfredda o passare a lato della miniera della Valvassera nel bosco, lui tutto bianco mentre si apprestava ad arrivare alla stazione di Varese, partito da Ghirla per fermarsi e non ripartire mai più». Poteva essere andata più o meno così quell’ultima corsa in cui il tramvetto bianco, come lo chiamavano affettuosamente i varesini, salutava definitivamente la città e tutti i passeggeri (oltre 600.000), per la maggior parte lavoratori ma anche turisti, che potevano scendere dal treno in arrivo da Milano e ripartire lungo un circuito, avviato nel 1895 dalla Società Anonima Varesina, che collegava in tondo molte valli (Valganna, Valcuvia, Valmarchirolo), raggiungeva Luino e garantiva il collegamento con le funicolari del Sacro Monte e del Campo dei Fiori. Nel corso della serata verranno trasmessi filmati in versione originale con interviste e testimonianze d’epoca (Il viaggio in tramvetto dell’Istituto Luce e il filmato del professor Grancini, l’allora oculista di Varese che da passeggero e appassionato di filmografia, riprese i tragitti di tram e funicolare). Sarà possibile anche visitare una piccola esposizione di arnesi del mestiere dei tramvieri e dei capistazione quali lampade e apparecchiature di comunicazione funzionanti con l’alfabeto Morse. Oggetti da collezione per gli appassionati ma anche ricordi dal profondo valore affettivo, alcuni dei quali messi a disposizione da Mario Carmagnola, figlio di uno degli ultimi capistazione della tramvia di Varese. Tra questi, il mitico Roskopv, l’orologio da taschino dei tramvieri, protagonista di aneddoti curiosi. Uno di questi, che oscilla tra realtà e leggenda metropolitana, racconta che la solidità dell’orologio, salvò la vita ad un capostazione a cui un delinquente aveva sparato dritto al cuore. Il tram dunque, anche se viaggia su binari retti e prestabiliti, è sempre stato un mezzo di trasporto affascinante e poetico che ha ispirato cantanti, registi, autori teatrali, letterati e poeti. Chissà, forse anche Gianni Rodari, che trascorse gran parte della sua vita a Gavirate, si lasciò ispirare dal tramvetto bianco quando scrisse la filastrocca Il tram di città, in cui il romantico mezzo di trasporto pubblico è elemento caratterizzante della vita cittadina. «L’aura di poesia che aleggia intorno alla figura del tram – spiega Paolo Ricciardi – credo sia proprio questo. Il ricordo di un’epoca. Un tempo in cui anche i duri sedili di legno avevano un fascino che oggi non esiste più».
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