DA RICORDARE
Cinquant’anni fa la società cambiò

Il divorzio in Italia compie cinquant’anni: è il primo dicembre quando la legge 898 del 1970 entra in vigore, per affrontare quattro anni più tardi una vera e propria battaglia referendaria il cui esito conferma la posizione popolare sull’argomento e sancisce la possibilità di interrompere un matrimonio. Almeno dal punto di vista civile.
Il progetto di legge sui casi di scioglimento del matrimonio porta la firma del deputato socialista Loris Fortuna che lo presenta nel 1965; tre anni dopo il liberale Antonio Baslini ne presenta uno più moderato. Quello che diviene legge nel 1970 è un’unificazione delle due proposte, conosciuto proprio come legge Fortuna-Baslini. Ma fino al 1974, anno del referendum che sancirà la posizione maggioritaria degli Italiani a favore del divorzio, la legge sarà appunto oggetto di grandi scontri politici e ideologici.
Quello che è il primo referendum abrogativo della storia del nostro Paese, proposto dal democristiano Amintore Fanfani, si risolve nel maggio 1974 con quasi il 60% dei votanti contro la proposta di annullamento della legge. Che da cinquant’anni non è, di fatto, molto cambiata. «Piuttosto – spiega l’avvocata Marina Piantanida – c’è stata e continua a esserci un’evoluzione del diritto di famiglia. Dal codice del 1942 quando la moglie aveva un ruolo, fondamentalmente, di subordinazione personale e patrimoniale rispetto al marito, sia in relazione alla coppia sia ai figli, si è passati a un dibattito che già negli anni Cinquanta ha portato alle prime modifiche di importanti articoli di legge. Successivamente, la prima grande riforma del diritto familiare fa riferimento alla legge 151 del 19 maggio 1975: è proprio con questa che il legislatore ha apportato modifiche sostanziali alla normativa, mutando radicalmente la concezione di famiglia e assicurando la parità giuridica e morale dei coniugi. Più recentemente la legge 54 del 2006 garantisce l’effettività del diritto dei figli a mantenere un rapporto equilibrato, stabile e continuativo con entrambi i genitori, anche in presenza di separazione o divorzio, ogni qualvolta non esistano impedimenti che giustifichino l’allontanamento di un genitore dal proprio figlio. Si tratta del principio di bigenitorialità, che si basa sul fatto che essere genitori è un impegno che si prende nei confronti dei figli e non dell’altro genitore, il quale non deve essere condizionato da un’eventuale separazione e su questo diritto non si può fare ricadere la responsabilità di scelte separative dei genitori».
Anche se non si è più coppia, i genitori restano sempre genitori. In sostanza, la parità tra moglie e marito vale su tutti i settori: tra loro, a livello economico, e sulla responsabilità rispetto ai figli. «Già nel 1975 – prosegue l’avvocata – la patria podestà del 1942 diventa podestà dei genitori e nel 2013 non si parla più di podestà, ma di responsabilità: un vero passaggio, anche linguistico, per cui i genitori non “comandano” più sui figli, ma ne sono responsabili».
Un concetto che fa parte, si diceva, del diritto di famiglia, e che dunque non si applica certo solo nel caso di coppie che divorziano. Ma sicuramente anche l’introduzione della legge 898/70 è uno dei principi che hanno scardinato la vecchia concezione del diritto di famiglia. «Complice – aggiunge Marina Piantanida – un lavoro di giurisprudenza immenso grazie anche all’introduzione della Corte Costituzionale che ha verificato se ogni norma fosse confacente ai principi costituzionali».
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