ISOLE FALKLAND
La mano di Maradona e quella di Dio

«In realtà si trattava più di sconfiggere un Paese che non una squadra di calcio. Era una rivincita, era come recuperare qualcosa delle Malvine». Così Diego Maradona spiegò l’incredibile sfida con l’Inghilterra ai Mondiali del 1986, quando segnò prima un gol antisportivo con la mano e, pochi minuti dopo, ne realizzò uno straordinario e mandò in estasi un Paese intero. Maradona si riferiva alla guerra per la sovranità delle isole Falkland del giugno del 1982: una ferita lancinante per l’Argentina di cui oggi, dopo la morte del campione, si è tornati a discutere.
Allora: lo sperduto arcipelago nel sud dell’Atlantico fu denominato “Falkland” dal navigatore John Strong nel 1690. Dopo l’insediamento dei primi coloni – molti di Saint-Malo, e da qui Ȋles Malouines – la Francia nel 1766 cedette la colonia alla Spagna. Poi, l’Argentina ottenne l’indipendenza da Madrid nel 1810 ma nel 1833, dopo una breve guerra, la Gran Bretagna conquistò le isole.
In totale circa 300 persone, oggi salite a 3.400 che – peraltro – nel 2013 con un referendum hanno riaffermato con il 99,8% la volontà di mantenere lo status di territorio britannico. Nondimeno, in Argentina le Malvinas sono un mito popolare: nelle scuole si insegna la loro storia, si afferma siano parte integrante del Paese e, si dice, prima o poi torneranno a essere argentine.
Questa la situazione nel 1976, quando i militari deposero Isabelita Peron con un Colpo di Stato e instaurarono una dittatura brutale: la “Junta” sospese le garanzie Costituzionali, sciolse i partiti e cancellò le libertà.
Non solo: con la scusa dell’anticomunismo si giustificarono torture e uccisioni di massa. I desaparecidos alla fine furono almeno 30 mila: molti, imbarcati sugli aerei, furono addirittura scaraventati vivi nell’oceano. Una dittatura sanguinosa. E dopo Jorge Videla e Eduardo Viola, il 22 dicembre 1981 Leopoldo Galtieri, l’ennesimo criminale, si autoproclamò presidente a vita con poteri assoluti. Ma, nonostante il “Terrorismo di Stato”, i militari erano in grave difficoltà: economia al collasso, inflazione al 200%, disoccupazione dilagante. Galtieri doveva riconquistare il consenso, così pensò alle Malvinas: il popolo, punto sull’orgoglio e ubriacato di nazionalismo, si sarebbe dimenticato dei veri problemi. Nella notte del 2 aprile 1982 scattò l’«Operazione Rosario» e l’invasione: dopo una breve sparatoria, i 40 marines si arresero.
Lo speaker di “Radio Falkland”, con una pistola puntata alla schiena, comunicò il messaggio: «Oggi inizia le sue trasmissioni Radio isole Malvinas. Adesso ascolteremo l’inno nazionale argentino».
La folla a Buenos Aires era in delirio, ma a Londra il governo di Margaret Thatcher reagì a quella umiliazione nazionale.
Così, mentre in Argentina la Tv trasmetteva proclami trionfali, la flotta inglese partì e il bluff di Galtieri non ebbe scampo: prima i bombardamenti, poi il 21 maggio le truppe sbarcarono. E di fronte si trovarono circa 11 mila studenti e contadini mandati nel freddo polare, sotto la neve, male armati, mal guidati e senza viveri.
Un solo esempio: l’11 giugno, a Port Stanley, i radar argentini scambiarono le truppe britanniche per greggi di pecore. Nella battaglia corpo a corpo morirono 200 ragazzi. Esito scontato: tre giorni dopo l’Argentina si arrese e il 18 giugno Galtieri, umiliato, si dimise. L’anno dopo Raul Alfonsin vinse le elezioni democratiche. Ora. Maradona scrisse: «stavamo difendendo la nostra bandiera, i ragazzi caduti». Per Ernesto Alonso, un reduce di quella guerra, invece, «gli inglesi li abbiamo dovuti sopportare per poco tempo, faccia a faccia per due settimane. Ma i militari argentini li abbiamo dovuti sopportare per sette anni».
La sovranità britannica sulle Falkland ha ancora oggi un sapore di atavico e ignobile colonialismo, ma quella guerra fu un inganno al popolo argentino e i giovani soldati furono vittime sacrificali di una dittatura criminale. Nulla a che vedere, allora, con la mitica “mano di Dio”, come si disse di quello sciagurato gol, e di quella partita.
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