SUL PALCO
Fame: inseguire il sogno della celebrità
In scena al Teatro Nazionale di Milano il musical di “Saranno famosi”. «Il talento serve, ma ci vuole anche una solida base di studio»

Alla School of Performing Arts di New York si iscrivono tutti «da quando è uscito quel film». Il film a cui si riferisce la preside Miss Sherman, interpretata da Barbara Cola, è Fame. E la battuta arriva dal palco del Teatro Nazionale di Milano, dove fino al 26 gennaio è in scena Saranno famosi. Fame – il musical, produzione Fabrizio di Fiore, con la compagnia Roma City Musical e la regia di Luciano Cannito. E con, nel ruolo dei professori, accanto alla già citata Barbara Cola, Garrison Rochelle, Lorenza Mario e Stefano Bontempi.
«La mia è la generazione che rincasava al pomeriggio per vedere il telefilm che in quegli anni in Italia stava avendo grande successo anche rispetto agli Stati Uniti – racconta Barbara Cola –: qui era arrivato dirompente. Il segreto era forse che mostrava il mettersi in gioco attraverso il talento, ma sapendo che non ci può essere solo quello, che bisogna lavorare su più fronti per diventare artisti, che non è possibile possedere solo il dono, ma che la strada è talmente lunga e in salita che bisogna veramente lavorare sodo per raggiungere gli obiettivi». Che è ciò che crea la base degli insegnamenti di Miss Sherman nel musical. «Essere Miss Sherman è l’altra faccia della medaglia della mia indole – prosegue Barbara Cola parlando del rapporto con il suo personaggio –: io mi sono sempre trovata nei panni di donne con la necessità di mostrare un lato empatico, delicato, fragile che in qualche modo ritrovo sempre un po’ vicino a me. Tutto il resto, nel creare il personaggio della preside, è un lavoro fatto passo dopo passo, con le sfumature nelle quali cerco sempre di trovare un po’ me stessa. Nell’essere personaggio che deve dimostrare autorevolezza ho raccolto un po’ di spunti dalla mia severità verso me stessa, perché io, da quando ventenne ho iniziato a fare la cantante, verso Barbara sono sempre stata estremamente severa e per questo personaggio cerco dentro di me questo pizzico, appunto, di severità e di autorevolezza». Senza dimenticare, prosegue l’artista «l’altra faccia della medaglia di Barbara, che è la capacità empatica nei confronti dei giovani, che per me, a questo punto del mio percorso, sono un faro, perché mi ritrovo e mi rivedo in loro, nella messa in scena e nella vita: da nove anni mi sono dedicata alla docenza ed è un insieme di emozioni che ripercorro. E poi mi è rimasta la voglia di essere stupita dal mio mestiere: non si finisce mai di essere sorpresi da un’emozione che ti percorre. E dal pubblico».
Il talento serve, ma anche una solida base di studio. E il saper attendere di essere pronti: tutto questo era nella serie tv, poi diventata film. E c’è nel musical, dove ritorna quello che il telefilm aveva mostrato per la prima volta: il dietro le quinte della formazione dell’artista di spettacolo. «Se ci pensiamo è stato il primo esempio, quasi un’intuizione che si ebbe anni fa negli Stati Uniti – sottolinea il regista Luciano Cannito –. Io ho solo trasportato il musical ai giorni nostri, ma è stato semplicissimo, non ho dovuto cambiare neanche una parola, perché il mondo della formazione degli Anni Ottanta è uguale a oggi anche nelle dinamiche interne, nei grandi dubbi sul futuro di un ragazzo che ha questa grande passione».
Ma non solo: quel volo nel vuoto che segna la caduta verso il nulla del personaggio della talentuosa Carmen Diaz, che vuole bruciare le tappe e incappa in chi la distrugge professionalmente e umanamente, è qualcosa che commuove la platea e la fa cadere nel dolore assieme al personaggio. «Io dirigo due centri di formazione – prosegue Cannito – e sono perfettamente consapevole di come sia importante investire sui sogni dei giovani senza abusarne. Chi sfrutta in modo balordo le passioni dei ragazzi per fare economia fa una cosa vergognosa: un giovane con una passione è un tesoro per la società. Avere ragazzi che hanno la passione per il canto, la danza, la musica significa tenere in grembo materiale pulsante, positivo, di gente motivata, di ragazzi che la mattina si svegliano con una voglia matta di andare a fare la cosa che amano. E questo fa crescere sani, indipendentemente dal fatto se poi lo faranno come mestiere».
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