L’INTERVISTA
I nemici dell’Occidente secondo Daniele Capezzone
Il saggio del direttore editoriale di Libero chiude la 25esima edizione di Duemilalibri. Un invito all’Italia: «Abbia coraggio»
“Occidente noi e loro”: con un saggio pubblicato per Piemme si conclude questa sera, domenica 17 novembre ore 21, nella Sala Arazzi dell’Hic di via De Magri a Gallarate la venticinquesima edizione di Duemilalibri. La Prealpina ne parla con il suo autore Daniele Capezzone, direttore editoriale di Libero.
Chi sono i nemici dell’Occidente e perché?
«Nel libro si individuano due tipologie di nemici: un evidente nemico esterno fatto di autocrazie, Pechino, Teheran, Mosca, e per altro verso fatto di estremismi ed estremisti islamici. Entità statali o terroristiche che da molti anni puntano o a disarticolare l’Occidente, o a indebolirlo o comunque a ferirlo a morte. Troppi dalla nostra parte del mondo hanno smesso di considerare un’esistenza di un nemico o di nemici, ma purtroppo i nemici esistono e occorre guardare negli occhi questa realtà. Questo naturalmente non vuol dire precipitare verso uno sciocco bellicismo: solo dei matti possono considerare un orizzonte di guerre infinite e indefinite».
E c’è un deterrente a questo bellicismo?
«La tesi del libro è che una deterrenza forte sia lo strumento per evitare le guerre e il peggio: l’Occidente deve essere più forte anche sul piano della sua difesa e del suo posizionamento generale. Quando invece l’Occidente appare debole, questa sensazione di debolezza incoraggia i nemici esterni a prendere coraggio».
Accennava a due tipologie di nemici…
«Sì, poi c’è una categoria che definirei i nemici interni, quelli che non credono più ai valori occidentali dentro casa nostra, ci spiegano ogni giorno quanto a loro faccia schifo questo Occidente, salvo poi rimanerci comodamente: nessuno di questi si trasferisce a Pechino o a Teheran, si limitano a lamentarsi soprattutto quando le elezioni danno esisti a loro sgraditi».
Che cosa pensa delle posizioni in Italia?
«Quelle che faccio sono due contestazioni di peso molto diverse: alla sinistra è più grave e profonda: quella di, per così dire, avere cara la democrazia solo quando l’esito è corrispondente ai loro desideri, alle loro indicazioni. Questa tentazione costante di tacciare di fascismo chi è loro avversario è una malattia infantile. Per ciò che riguarda la destra la mia è una contestazione più leggera, di incoraggiamento: sei dalla parte giusta della storia, il posizionamento geopolitico dell’attuale governo è corretto, abbi più coraggio, è il momento per l’Italia di cogliere un’occasione, una opportunità, possiamo essere noi il Paese ponte del rapporto con la nuova America di Trump, usciamo da una specie di complesso di inferiorità per cui per forza bisogna essere vagoni della locomotiva franco-tedesca. Parigi e Berlino sono in una crisi drammatica: è il momento per l’Italia di avere più coraggio di correre più veloce».
Che cos’è per lei la democrazia?
«È un esperimento, giovane e imperfetto, pieno di difetti, le nostre democrazie ci fanno costantemente disperare, combattiamo ognuno una piccola battaglia per migliorarle, per correggerle. E ciononostante si tratta comunque dello strumento meno dannoso, meno imperfetto, meno negativo, meno violento, meno prepotente che gli esseri umani abbiano saputo inventare per la loro convivenza. Questo mix di economia di mercato ed elezioni come strumento per la scelta dei governanti pro tempore è la combinazione migliore che donne e uomini abbiano saputo inventare. Noi dovremmo essere consapevoli del fatto che è un esperimento giovane nella storia dell’umanità, che dura da pochi secoli e riguarda una piccola parte degli abitanti del pianeta. Certo critichiamole, certo miglioriamole, certo correggiamole, ma non buttiamo via il bambino con l’acqua sporca».
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