STORIA
Il mistero del naso di Hitler

Il 17 luglio del 1932 il serio e rispettabile settimanale tedesco «Der Gerade Weg» («La retta via») pubblicò una fotografia esplosiva: un elegantissimo Adolf Hitler sottobraccio alla sua sorridente sposa, una ragazza di colore.
Incredibile: il campione della purezza razziale sposato con una donna inferiore. Non solo, il titolo a tutta pagina poneva anche un inquietante interrogativo: “Nelle vene di Hitler scorre sangue mongolo?”.
L’autore della provocazione non era un sobillatore comunista, ma il direttore Fritz Gerlich, un conservatore “di destra”, nazionalista e profondamente cattolico.
Conosceva Hitler e ne era un implacabile nemico: considerava i nazisti criminali, degenerati sessuali e spergiuri. Mancavano 15 giorni alle elezioni, Hitler stava diventando il padrone assoluto della Germania e il suo consenso cresceva di giorno in giorno: per conquistare i tedeschi predicava la supremazia degli ariani, e tutta una serie di sedicenti scienziati si erano prodigati a conferire dignità accademica alla “teoria della razza” stessa.
Tra questi Hans Günther, professore all’Università di Jena e specializzato nelle forme di tutte le “teste” e dei nasi nordici. Secondo la scienza razziale, infatti, il naso era “il più importante indizio dell’origine di una persona”.
Così Gerlich aveva studiato quello di Hitler e, applicando le stesse teorie razziste, aveva prodotto un documentato studio di “nasologia comparata” che adesso aveva deciso di pubblicare.
Il risultato fu una delle più esilaranti ma efficaci spiegazioni della patologia razziale del nazismo: secondo quelle teorie gli ariani avevano “un piccolo setto nasale e una piccola base”. Al contrario, scriveva Gerlich, “i nasi di tipo orientale e mongolo hanno base larga, ponte piatto e una piccola fenditura che spinge più avanti e più in su la punta del naso”. E ancora diversi erano i nasi di tipo “slavo”, formati nei secoli “per incrocio razziale, dopo l’invasione degli Unni, fra il ceppo mongolo e il ceppo originale slavo”.
Gerlich argomentava dottamente: a supporto pubblicava anche una serie di foto e invitava i lettori a confrontare i nasi con quello del futuro Führer.
E, sempre con cipiglio “accademico”, giungeva trionfante all’inesorabile conclusione: il naso di Hitler non solo non era ariano, ma nemmeno puramente slavo.
Anzi, era attribuibile alla forma ibrida degli slavi di sangue misto, i figli delle donne slave stuprate dagli invasori mongoli a cavallo. Una scoperta sconvolgente… ma del resto, la scienza era scienza! Morale: se il naso non era ariano, neanche Hitler lo era. Soprattutto non poteva avere un’anima ariana, poiché – come sosteneva un altro ciarlatano razzista, Alfred Rosenberg – la concezione del mondo di un uomo derivava dalla sua razza e dal suo sangue. La tesi finale a questo punto era ovvia: i tedeschi avevano sempre amato la libertà e non si erano mai assoggettati a un capo assoluto. Hitler teorizzava il contrario, ma era appunto una questione di razza: il Führer era infatti “puramente mongolico”, un dispotico “tipico bastardo che ha nelle vene sangue fondamentalmente non nordico”.
Dunque era più simile a Stalin, con cui condivideva i lineamenti, oltre all’anima tirannica e dittatoriale asiatica.
Una beffa atroce. Ma la dissertazione di Gerlich era in realtà assai più profonda: colpiva e ridicolizzava infatti tutti i fondamenti teorici del nazismo e l’assurdità “metafisica” della superiorità razziale.
Come ci si può immaginare, i nazisti non la presero bene. Hitler vinse le elezioni con il 37,4% e il 30 gennaio 1933 venne nominato cancelliere. Il 9 marzo le SA fecero irruzione in redazione, urlando “dov’è quel porco di Gerlich?!”. Lo scaraventarono giù dalle scale e lo arrestarono. Dopo un anno di torture, e senza alcun processo, fu trasportato a Dachau: lo fecero entrare in cella e gli spararono. Era il 30 giugno del 1934. Hitler era pronto ad assaltare il mondo, sulla base della superiore e invincibile razza ariana. Si sa come andò a finire.
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