Il viaggio di Colombo

Un volo d’uccello su una foresta sterminata.
Stacco. Improvvisamente siamo nel cuore della selva. Il particolare delle mani nodose di un indio che si fa largo fra le piante. Intorno un mondo dipinto di un verde potente e pulsante, che attraversa la pelle.
Inizia così “Tierra adentro”, film documentario immerso, nel vero senso della parola, nella giungla del Darien, regione di confine fra Panama e la Colombia. Un viaggio conturbante e fascinoso in un luogo che pare incontaminato ma che è in realtà il guscio di mille contraddizioni.
Scopriamo la deforestazione imposta dalle multinazionali e la vegetazione che si riappropria di una vecchia miniera, i migranti che cercano di sconfinare verso il proverbiale Sogno Americano e la polizia sguinzagliata per negarglielo e acciuffare i narcotrafficanti, un biologo “a caccia” di giaguari e un’anziana missionaria.
Dietro la macchina da presa di quest’opera densa e penetrante è il varesino Mauro Colombo: un decennio fa l’afflato che porta con sé fin da un cognome leggendario per chi viaggia, lo ha portato a lasciare Varese e l’Europa per andare alla scoperta della sua America.
Novello Cristoforo, approda a Panama, per farne la sua terra. E lì, dopo anni di impegno e passione, ecco con “Tierra adentro” il primo ambizioso progetto personale d’oltreoceano. «Ho conosciuto il Darien filmando l’occupazione della Panamericana, un’arteria che taglia il paese, da parte della popolazione indigena che protestava contro il progetto di una miniera di rame. Furono giorni intensi, di scontri e feriti. Rimasi lì quasi un mese visto che il governo stava perseguendo anche i giornalisti e tutti coloro che documentavano l’evento. In quelle settimane mi sono innamorato di questa terra e ora ho coronato il sogno di raccontare quello che era il mio vero protagonista: la selva».
Perché proprio Panama dopo essere cresciuto nel Varesotto?
«In un momento particolare della mia vita ho sentito un gran richiamo a cambiare per sopravvivere. Una persona importante mi ha aiutato a compiere questo salto ed eccomi qui dall’altra parte dell’Oceano Atlantico. Non è stato facile ma è normale che non lo sia».
Nella foresta, con la macchina da presa...
«La passione per il cinema mi è nata nella sala di Filmstudio ’90 e con l’organizzazione di Cortisonici. In realtà però non pensavo di fare il regista nella mia vita, non ho una formazione in quel senso. Mi sono laureato in geografia umana, poi ho vissuto 6 mesi in Australia e, tornato a Varese, ho lavorato per l’etichetta musicale Ponderosa. Non sapevo di voler fare cinema, avevo un’idea un po’ naïf di viaggiare, conoscere il mondo, la natura. Poi una serie di conoscenze mi ha portato, quasi per diletto, a scrivere dei documentari unendo la mia passione per il territorio visto in chiave antropologica. Questo tipo di lavoro, unito a un’esperienza professionale al fianco di Giampiero Gandolfo che realizzava film per il National Geographic, è stato per me un’autentica folgorazione».
Una delle sue prime opere è stata un percorso lungo l’Olona, con tante storie raccolte sulle rive del fiume che squarcia la Lombardia. Un viaggio simbolico, un po’ come quello nella foresta del Darien.
«Sono passati 15 anni da “Olona, un fiume” e sento che sono cambiate molte cose. Non ho mai studiato cinema e per me fare film significa ogni volta scoprire cos’è un film, comprenderne linguaggio e potenzialità. Forse è il mio limite formativo, ma penso che valga per tutti. Credo che la ricerca sia quella di creare un lavoro che sia sempre più personale, sincero e misterioso allo stesso tempo. Per me adesso fare un film non significa solo raccontare una storia o una realtà, ma piuttosto investigare la percezione della realtà stessa, con la propria visione personale».
© Riproduzione Riservata