DA VEDERE
La luce ha la capacità di donare vita alle cose
Opere di De Lucchi e Minotto in dialogo al Punto sull’Arte di Varese: dagli interni sontuosi delle ville venete alle nature morte eleganti

Luce e silenzio sono gli elementi essenziali delle opere di Ottorino De Lucchi e Raffaele Minotto, in dialogo in questi giorni alla Galleria Punto sull’Arte di Varese. Nella doppia mostra personale Echi di luce, a cura di Alessandra Redaelli, i sontuosi interni delle ville venete dipinti da Minotto si fondono con l’eleganza senza tempo delle nature morte di De Lucchi. L’invito è guardare in silenzio, lasciando che la luce illumini le cose, e le cose si manifestino, senza sovrapporre parole o immagini. Vibrano, accarezzate dalla luce, le stanze dei palazzi di Asolo e di Padova che da sempre sono oggetto della ricerca di Minotto, in un vagabondare tra cristalli e tavole apparecchiate, tappeti e sofà, finestre spalancate da cui si insinua il pulviscolo che indora l’intera superficie. Il silenzio riecheggia i passi e le voci delle persone che qui sono passate, in un continuo rimando tra il presente e un passato intriso di memorie. La pittura di Minotto, racconta la curatrice, «è inestricabilmente legata al concetto del tempo. Non solo il tempo che fatalmente nei suoi quadri si respira come senso di memoria, di accaduto e di passaggio; non solo il tempo di lettura, che è lungo, con lo sguardo invitato a perdersi nei dettagli, a scandagliare le ombre; ma anche il tempo del fare, che parte da un minuziosissimo disegno a matita e carboncino (disegno che a tratti, se si osserva bene, l’artista lascia emergere da alcune zone della tavola come una firma), passa attraverso il procedimento lento e attento della pittura del particolare e poi si conclude con il gesto secco – espressionista e immediato – con cui il pulviscolo chiaro va a sottolineare la direzione delle lame luminose». Sospensione del tempo è anche la sensazione che si prova davanti alle nature morte di Ottorino De Lucchi, realizzate con una tecnica innovativa, l’acquerello a secco, osservata nei lavori dell’americano Andrew Wyeth ma sviluppata in modo indipendente, per ottenere stesure corpose e compatte, e non liquide e trasparenti come nell’acquerello tradizionale. «Denso, opaco, profondissimo, lucente, tattile, qui l’acquerello è totalmente altro rispetto all’idea che normalmente vi si associa. Trasparenza e leggerezza sono sostituite da una materia compatta e incredibilmente vellutata che l’artista modula come uno strumento musicale», spiega ancora Redaelli. Di fronte a questi «misteriosi scorci di irreale realtà», viene spontaneo trattenere il fiato, per lasciare parlare il silenzio e la luce. Una luminosità che sembra uscire dall’interno di vasi e canestre, per squarciare il buio del fondo che inghiotte e annulla ogni cosa, come un cuore pulsante. Le foglie sembrano prendere fuoco, rilucono come lanterne gli alchechengi, mentre i grappoli d’uva sembrano di alabastro. A completare la seduzione, De Lucchi decide di porre i suoi soggetti in bilico su un piano perfettamente orizzontale, come Caravaggio con la Canestra dell’Ambrosiana, lasciando nello spettatore un senso di equilibrio instabile, di possibilità impossibile, trasportandolo dentro una dimensione misteriosa.
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