L’IMPRESA
«La montagna mi accoglie come una Madre roccia»
L’alpinista varesino Matteo della Bordella ha aperto una via sulla parete sud della Marmolada
La Marmolada lo ha visto crescere come alpinista. Era un ragazzo, Matteo Della Bordella e, sulle Dolomiti, “studiava” per diventare il grande alpinista che è oggi. Ma, come quei grandi amori che fanno giri immensi e poi ritornano, lo scalatore varesino è tornato sulla regina delle Dolomiti. E la Marmolada lo ha accolto, come una madre. Anzi, come una “Madre roccia” vale a dire il nome della via che ha aperto, assieme a Massimo Faletti, Maurizio Giordani e Iris Bielli, la cui avventura è raccontata in queste settimane in un documentario in onda su Sky.
La Marmolada, infatti, non è soltanto la montagna col più grande ghiacciaio sulle Dolomiti. Se il “mammellone” bianco, rivolto a nord, è la parte più conosciuta e fotografata dal grande pubblico, la parete sud, è invece il regno dell’arrampicata: un muro gigantesco di 4 chilometri in larghezza e 1.000 metri di parete verticale.
Dopo la prima salita del 1901 di Beatrice Tomasson, da qui sono passate molte leggende dell’alpinismo, aprendo fino a quasi 200 vie. In questo dedalo di scalate, però, c’era ancora uno spicchio vuoto, una “strada” inesplorata. Negli anni Novanta Stefano Righetti tentò di affrontarlo, le difficoltà incontrate in parete portarono ad abbandonare la salita.
E così Maurizio Giordani, un mito dell’arrampicata in Marmolada che, in 40 anni di carriera alpinistica ha aperto oltre 50 vie sulla parete sud, ha avuto l’idea di riprovarci, coinvolgendo Della Bordella. Il progetto è andato in porto alla fine dell’estate 2023, durante la seconda settimana di formazione del Cai Eagle Team, iniziativa formativa condotta proprio da Della Bordella.
Oggi, di quei momenti, il rocciatore prealpino ricorda «il calcare, la roccia ruvida e abrasiva sotto i polpastrelli. E poi quella parete gigante, unica, da scalare utilizzando i piccoli buchetti» che offriva la roccia. È stata dura anche per un mito come Della Bordella: il calcare era spesso liscio, con pochi appigli. Si avanzava centimetro dopo centimetro. «L’avevo messo in conto, perché ho sempre avuto un enorme rispetto della Marmolada, sin da quando ci andavo con mio papà e sono arrivate grandi soddisfazioni, ma anche batoste. Però, tutte le avventure più belle iniziano quando qualcosa ti mette in difficoltà».
È andata bene anche grazie a una cordata particolare, composta da quattro persone di quattro generazioni diverse: «In questo senso – racconta ancora Della Bordella – è stata un’avventura molto diversa dal solito quando, generalmente, si scala tra coetanei. Di più: quando ci siamo resi conto che ci eravamo un po’ arenati e ci serviva un cambio di passo, è uscito un jolly, Iris Bielli, 20 anni: il suo talento e la determinazione hanno dato una svolta per l’apertura della via, creando dinamiche diverse che hanno reso l’arrampicata ancor più speciale. Quando sono salito in parete con lei, non sapevo cosa aspettarmi perché è giovane e con poca esperienza, ma Iris è partita subito bene ed è riuscita a salire su buchetti minuscoli. Per una volta la mia emozione non è stata legata a una mia performance, ma nel vedere qualcun altro in azione».
Il rispetto per la montagna, non ha caratterizzato soltanto le precauzioni di sicurezza adottate, ma anche il materiale utilizzato: «Volevamo aprire la via – racconta ancora l’alpinista varesino - mettendo poche protezioni e inserendo gli spit a mano, utilizzando il trapano soltanto un paio di volte, alla fine. Così è stato più lungo e laborioso e, quindi, mettendo uno spit solo quando serve, se ne lasciano pochi in parete».
Il documentario, quindi, esplora anche la consapevolezza ambientale, offrendo uno sguardo appassionante sul mondo dell’alpinismo e sull’importanza di proteggere e preservare gli ecosistemi montani, sperando di ispirare una consapevolezza e un impegno verso la conservazione della natura. E, per Delle Bordella, verso la Patagonia, meta della sua prossima avventura.
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