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L’arte scende per strada

Già a tre anni era sicura che avrebbe fatto la pittrice. Dopo il liceo artistico, si diploma all’accademia di Belle Arti di Roma, approfondisce gli studi in Spagna ed, ora, Alice Pasquini, in arte Alicé, romana con ascendenze molisane (è direttore artistico del progetto CVTà Street Fest di Civitacampomarano), classe 1980, è una delle più note figure della Street Art internazionale.
Dopo il percorso accademico, come è avvenuto l’avvicinamento alla strada?
«Erano gli anni Novanta e a Roma sono venuta presto in contatto con la cultura Hip Hop che mi ha insegnato un’altra forma d’arte: l’utilizzo degli spray. Ho sempre saputo che avrei fatto arte, ma non pensavo che un giorno avrei girato tutto il mondo e dipinto su grandissime superfici».
Cosa vuol dire dipingere per le strade?
«Tutto nasce dal desiderio di creare un’arte viva, capace di trasformare gli angoli delle città in luoghi più umani. Parlare di sentimenti universali, raccontando piccole storie private nello spazio pubblico. La spinta forse è nata come reazione all’accademismo, lontano dalla mia idea di arte».
Ci sono “muri” che le piacciono di più di altri? per composizione o contesto…
«Dipingo in un contesto e per un luogo specifico. In questo senso ogni opera è strettamente legata all’ambiente circostante. Ogni luogo, per quanto differente per storia e colori, è sempre stato un esperienza unica. Ciò che conta in quest’arte è il momento in cui viene fatta perché, a differenza di un’arte prodotta in studio, evolve con le persone e con il quartiere. E continua a evolvere anche quando un artista va via. Ma nel momento di dipingere è la forma del muro, la sua storia e il suo contesto a suggerirmi un determinato soggetto o l’uso di un colore. Le cose possono cambiare in corso d’opera. In strada non si sa mai cosa può succedere. Un muro non è una tela».
La grande maggioranza dei muri che dipinge riporta volti e corpi di donne o di bambine, quale ruolo rivestono queste figure nella sua arte?
«Descrivo le donne che incontro, sognatrici, sicure di sé; bambine curiose, impertinenti. Sentimenti che raramente vediamo rappresentati nelle città dove invece abbondano pubblicità in cui la donna è piuttosto un involucro».
Cosa è la Street Art, questo Muralismo contemporaneo? Quale è la caratteristica di questo modo di fare arte, dal passato “anti-sistema”, e dal presente, talvolta controverso, ma ormai integrato nella struttura socio-artistica?
«Negli ultimi anni c’è sicuramente più interesse verso questo tipo di arte. La moda prima e qualche multinazionale dopo hanno iniziato ad interessarsene per alcune campagne. Paradosso e allo stesso tempo il segno del tempo che cambia. La storia che si ripete: ogni avanguardia è inglobata nel mercato. Comunque vada questo movimento ha lasciato un segno».
Street Art nei musei e nelle mostre…
«Perché no. Se un artista è un artista lo sarà sia all’interno che all’esterno. In galleria si possono realizzare opere che in strada non sarebbe possibile, perché più fragili o intime. Altro discorso è quando le opere pensate per la comunità vengono rubate dalla strada per essere esposte dentro un museo».
Quale è la chiave che apre all’idea dell’opera?
«Il contesto. Infatti preferisco il termine arte contestuale a Street Art».
Alicé, il suo nome d’arte…
«L’idea di firmare con il mio vero nome per far capire agli altri che era una donna a dipingere quei muri è stata una scelta, perché stavo portando in strada un linguaggio diverso».
La bellezza di un’opera d’arte: dov’è?
«Questa è un’arte effimera, quindi accetto che le mie opere spariscano, però vedere dei piccoli disegni che resistono per decenni è quasi incredibile: potrebbero essere cancellati da chiunque. Invece tanti sono difesi dai cittadini e questo è molto bello, perché vuol dire che si è instaurato un dialogo con il contesto: questo è lo scopo della mia arte».
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