L’INTERVISTA
Le doppie ferite di Lavinia
Delitto di Casbeno: parla la giovane aggredita dall’ex marito
Lavinia sta sul divano in pelle in salotto. Deve sistemare bene i cuscini prima di sedersi, per non sentire male. Oltre alle coltellate al viso, ha preso un pugno in pieno volto di una violenza assurda che, solo a pensarci, fa venire i brividi. Come si fa a colpire una donna con tale, inaudito impeto? La madre è sulla poltrona che ascolta. Tra loro un tavolino con tutte le belle foto di famiglia. Tanti sorrisi, le vacanze, la laurea, le ricorrenze. E ora una vita da ricostruire, dopo quello che è accaduto il 6 maggio scorso a Casbeno, quando l’ex marito Marco Manfrinati prima ha ferito gravemente la giovane e poi ha ucciso suo padre, Fabio Limido, intervenuto per difenderla.
Lavinia come stai?
«Rispondo che sto sempre meglio. Non potrei mai rispondere sto bene. Non voglio rispondere sto male. Sicuramente sto sempre meglio perché fisicamente, ogni giorno, piano piano, faccio un passo in più. Mi sto riprendendo. Sto guadagnando peso visto che in ospedale avevo perso cinque-sei chili. Riesco a mangiare un po’ di più. Riesco a parlare un pochino meglio, nonostante mi manchino dei denti e nonostante la forma del viso non mi aiuti a parlare normalmente. Ho il collare che è piuttosto fastidioso però devo dire che ogni giorno faccio un passo verso la normalità. Poi le ferite interiori hanno un decorso molto più lungo che richiede molto più tempo e non si riescono a riassumere sui due piedi, nemmeno ci riesco io con me stessa. È piuttosto complicato».
Due anni da incubo
«Questo fatto è accaduto a distanza di due anni da quando io me ne sono andata, sono scappata dalla casa in cui stavo con mio marito e nostro figlio. Sono stati due anni molto intensi. Quello che è successo è stato un epilogo annunciato e prevedibile di quello che è successo nel periodo antecedente. Due anni in cui un giorno sì e un giorno pure succedeva qualcosa. Da cancellate rotte a minacce velate e meno velate, a ogni genere di fastidio che una persona che non ha niente da fare durante il giorno riesce a immaginare. Quando non hai niente da fare, ti metti lì e pensi a come dare fastidio agli altri. E qualcosa la trovi. Due anni vissuti così. Un incubo soprattutto per l’incolumità fisica di noi tutti. I fatti accaduti sono la conferma di quelli che erano i miei timori. Il nostro stile di vita era completamente cambiato».
Cosa dire a chi è vittima di violenza?
«Sicuramente, parlo al femminile ma la situazione si può presentare anche al contrario, dico di stare tanto attente perché appena passate la guardia può succedere qualcosa. State attente sia ad accostarvi a persone che magari vi sembrano persone perfette perché così è stato nel mio caso, persone che magari ti richiedono un aiuto e uno sforzo umano un po’ troppo impegnativo. Non siamo crocerossine e non dobbiamo esserlo, questo fattore deve mettere all’erta, a me non è successo e mi ci sono ritrovata dentro. Anche leggendo molte situazioni di molte ragazze che si sono ritrovate in casi analoghi al mio, ho visto che la loro storia è caratterizzata da questo elemento. Pensano: io sono un centro terapeutico, vieni che ti aiuto. E tu sei convinta che con l’amore ce la puoi fare, invece le persone non le cambi. Le prendi come sono o non te le prendi. Questo è un elemento che deve destare attenzione. Poi quando si percepisce che uno vuole andarsene, io credo che l’ultimo incontro, quello chiarificatore, che tutti richiedono, sia il più rischioso. È lì che succede qualcosa. Non c’è niente da chiarire: mi hai rovinato una parte della vita, non c’è niente da chiarire. Abbiamo talmente poco tempo nella vita che è meglio spenderlo bene».
Intervista completa sulla Prealpina in edicola venerdì 21 giugno - Immagini Agenzia Blitz
© Riproduzione Riservata