DA VEDERE
Maria Dompè: alle donne costrette a rinunciare ai loro sogni
L’opera verde permanente è dedicata alla principessa Carlotta. Il progetto sale sulle alture sugli antichi sentieri tracciati dal ‘700

Villa Carlotta domina dall’alto la riva occidentale del Lago di Como, nei pressi di Tremezzo, poco sopra la statale Regina, via percorsa nei secoli da mercanti, viandanti e pellegrini diretti o provenienti dal nord Europa. L’ampio e rigoroso fronte è rivolto al lago e vi si accede dal basso a mezzo di una scalinata monumentale a rampe simmetriche immersa nel verde del grande parco che si estende per l’intero versante della collina, strutturandosi su ampi terrazzamenti con giardino all’italiana e all’inglese e alberi ad alto fusto nella parte più alta. Voluta dal ricco marchese milanese Giorgio Clerici alla fine del Seicento, la dimora fu poi venduta all’inizio dell’Ottocento a Gian Battista Sommariva, allora presidente del Comitato di Governo della Repubblica Cisalpina, tra gli uomini più potenti di Milano, colto e spregiudicato, ambizioso al punto di trasformare la residenza lacustre in un luogo d’arte in cui fare confluire una parte cospicua delle sue collezioni, che godevano della vicinanza dei più celebri artisti dell’epoca, da Canova a David, Girodet, Thorvaldsen e Hayez. Furono proprio i capolavori d’arte che resero la villa famosissima in tutta Europa e attirarono illustri visitatori come Stendhal, Flaubert e la scrittrice irlandese Lady Morgan, tra le più famose viaggiatrici romantiche, che fece conoscere in Europa la splendida villa. Dopo nemmeno mezzo secolo, il complesso cambiò ancora di proprietà, acquistato da Marianna di Nassau, moglie del principe di Prussia, che sette anni dopo la donò alla figlia Carlotta, per il suo matrimonio con Giorgio II, Granduca di Sassonia-Meiningen. Ed è proprio dalla giovane proprietaria – allora sedicenne – che la villa prende il nome attuale. Passata dunque alla casata di Sassonia-Meiningen e utilizzata come luogo di villeggiatura, fu arricchita con un apparato decorativo con motivi neo rinascimentali e pompeiani realizzati da artisti tedeschi e italiani, tra cui Ludovico Pogliaghi. Appassionati di botanica, i nuovi proprietari e gli eredi si dedicarono soprattutto ad arricchire il giardino immettendo un numero cospicuo di nuove specie, con particolare predilezione per azalee, camelie, felci, palme e rododendri, originari della regione della Himalaya che, in occasione della fioritura, regalano una tavolozza cromatica straordinaria. Proprio a Carlotta, morta a 23 anni, ai suoi sogni mai realizzati e ai sogni negati a tante donne nel mondo è dedicata la nuova opera verde permanente dell’artista Maria Dompè, da sempre attenta al rapporto tra arte, natura e spazio pubblico intitolata To the women who are not allowed to fulfill their dreams. L’intervento site-specific, realizzato in collaborazione con i giardinieri della villa, è ideato «in linea di continuità con il percorso che dalla “porta del bosco” sale sulle alture soprastanti il giardino, seguendo gli antichi sentieri tracciati dai proprietari della villa che, dal Settecento ai primi del Novecento, hanno modellato il parco e messo a dimora alberi secolari», spiega Maria Angela Previtera, direttrice di Villa Carlotta e coordinatrice del progetto curato da Elena Di Raddo. Il lavoro di Dompè offre una riflessione, spiega la curatrice su come l’arte del giardino intrecci «estetica, natura e riflessioni sull’equilibrio umano e la sua relazione con l’ambiente. Ma è anche una metafora della mente e dell’anima umana, che riflette la ricerca dell’armonia, dell’ordine e della bellezza». In parallelo all’esposizione permanente, che pone l’accento sulla parte del parco tra il giardino storico e il bosco soprastante, riqualificata di recente grazie ai fondi Pnrr-Next Generation, nella sala dei gessi è stata realizzata un’opera effimera, durata un solo giorno, che porta lo stesso titolo di quella permanente, come fossero due facce della stessa medaglia. Una installazione realizzata con frammenti di tessuto bianco, utilizzato dalle donne indiane per i loro sari, ricamati secondo un progetto di Livia Crispolti con gli studenti del corso di Cultura tessile dell’Accademia di Brera, che affrontano temi come l’insicurezza, la paura o la ricerca della libertà.
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