LA MOSTRA
Preraffaelliti a Palazzo Reale

Ragazzi, intorno ai vent’anni, amici e (alcuni) compagni di scuola alla Royal Academy, immaginano un progetto rivoluzionario guardando al passato.
È il 1848 a Londra e questi giovani, guidati da Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais e William Holman Hunt, sono consapevoli di vivere un momento storico chiave, il chiudersi di un’epoca e l’inizio di cambiamenti globali in cui ogni cosa - credenze e valori, lavoro e amore - viene ridefinita.
Si riuniscono in una Confraternita, decisi a ribellarsi al soffocante establishment dell’epoca per creare opere più vere e ispirate direttamente alla natura, alla religione, alla storia e alla letteratura.
Nella bellezza e nell’arte, in particolare l’arte italiana prerinascimentale, ritrovano strumenti e valori per cambiare la storia. Parte da qui la mostra di Palazzo Reale, organizzata in collaborazione con Tate Modern e curata da Carol Jacobi con il contributo scientifico di Maria Teresa Benedetti, che raduna un’ottantina di opere (tutte da Londra), suddivise in otto sezioni che intendono dare ragione di ogni aspetto tematico del movimento.
S’inizia con straordinari acquerelli e opere a inchiostro su carta di un giovane (appena dodicenne) e dotato Millais, talento emergente dei primi anni della Confraternita.
Passando tra le sale, dai colori brillanti tipici della tavolozza dei Preraffaeliti, ci sono le icone note, che raramente escono dalla Tate, come l’Ofelia di Millais, così vera che sembra di toccare l’acqua in cui galleggia il suo corpo senza vita (la modella posò per ore sdraiata in una vasca da bagno, per poter osservare l’aspetto dei capelli sparsi nell’acqua e il broccato dell’abito da sposa, che, zuppo, le aderiva al corpo); l’Aurelia di Rossetti e Monna Vanna dalla larga manica ripresa da Raffaello e la struggente Dama di Shalottdi Waterhouse, come pure la Beatrice di Rossetti, con il volto di Elizabeth Siddall, modella e moglie dell’artista, qui ricordata a due anni dalla morte per overdose di laudano, una santa laica con in mano un papavero, simbolo del sonno e della morte.
Una Madonna laica è anche la madre con il bambino di Ford Madox Brown, in cui lo specchio-aureola sullo sfondo ricorda tanto i Coniugi Arnolfini di Jan Van Eyck. Numerose le altre firme, più o meno note (da William Morris, Edward Burne-Jones, Arthur Hughes, Henry Wallis, Charles Allston Collins e William Dyce, John Brett, nei paesaggi minuzioso come Van Eyck e capace di una luce tersa come Canaletto) che animarono questo cenacolo la cui eredità ha affascinato il Novecento, influenzando linguaggi diversi, dal cinema alla musica fino alle arti applicate e alla moda.
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