DA VEDERE
Le opere d’arte? Cose da bimbi

Avvicinarsi all’arte attraverso il gioco e la sperimentazione. È la parola d’ordine dei progetti educativi proposti da tutti i musei, da quelli d’arte a quelli ad argomento scientifico. La consapevolezza dell’importanza del “fare per comprendere” nasce da un lungo percorso che ha un momento di svolta intorno alla metà del secolo scorso.
Secondo Herbert Read, storico dell’arte ed estetologo inglese, l’arte può essere alla base dell’educazione. Così si legge nel saggio Educationthrough art che nel 1943 pubblicò a Londra il saggio, tradotto in italiano da Giulio Carlo Argan nel 1954.
La sua tesi, che aveva alle spalle, tra gli altri, gli studi di Rudolf Steiner e di John Dewey, riconosceva la funzione dell’arte nella pedagogia e la necessità di educare all’arte. Fondamentale anche l’esperienza di Arno Stern, con l’ideazione a Parigi nel 1949 del Closlieu, un atelier allestito per permettere di dipingere senza pressioni e influenze, partendo dall’idea che l’educazione attraverso l’arte consiste nel ridestare e valorizzare le facoltà di cui un bambino è già in possesso.
Gli anni Cinquanta rappresentano una svolta fondamentale per l’educazione artistica, riconosciuta come momento di formazione culturale della persona in tutte le tappe del suo sviluppo. Nel 1954 nasce l’organizzazione internazionale InSEA (The International Society for Education Through Art), riconosciuta dall’Unesco. Inoltre si inizia a pensare al Bene culturale non solo come un oggetto da conservare e da studiare, ma anche come patrimonio culturale collettivo, cui il singolo cittadino deve essere educato con uno specifico processo di alfabetizzazione legato a esperienze.
Nascono così le prime esperienze di incontro tra le opere d’arte e il pubblico infantile, tra il museo e la scuola. Alla fine degli anni Cinquanta il Louvre propone un pionieristico servizio di visite guidate, differenziate per età e, negli stessi anni, al Museo di Cleveland, viene avviata un’attività pratica volta allo studio del rapporto libero dei bambini con le opere d’arte.
In Italia, l’illuminata direttrice di Brera, Fernanda Wittgens, organizza nel 1958 uno stage rivolto ai bambini delle elementari e delle medie che si conclude con una mostra di disegni degli stessi partecipanti. Altre sperimentazioni si intraprendono alla Galleria Borghese e alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma, al Poldi Pezzoli di Milano e alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Brera vanta un altro primato, i primi laboratori per bambini. Il merito è del direttore Franco Russoli, che voleva trasformare il museo da «torre eburnea e luogo sacro di pochi eletti» in un «organismo vivo», capace di essere «strumento di comunicazione di massa e servizio sociale». Incaricò Bruno Munari di progettare uno spazio per i bambini e, per la prima volta in Italia, si organizzò un laboratorio per bambini in un museo chiamato «Giocare con l’Arte».
Non un semplice “parcheggio”, dove i bambini possono giocare con pennelli e tempere, «liberi di fare quello che vogliono avendo davanti agli occhi le riproduzioni delle opere esposte nel museo […] e nemmeno soltanto un “raccontare” le opere d’arte... Nei laboratori si gioca all’arte visiva, si sperimentano tecniche e regole ricavate dalle opere d’arte di ogni epoca, trasformate in giochi». Tra gli anni Settanta e Novanta vengono aperti numerosi laboratori e oggi i laboratori e le attività educative esistono praticamente in tutti i musei.
Nel mondo Bruno Munari ha “giocato con l’arte” a Gerusalemme, in Venezuela, a San Sebastian in Spagna, a Parigi, a Rio de Janeiro. Nel 1986 A Tokyo in occasione dell’inaugurazione del Kodomo no sciro, cioè del Castello dei bambini, Munari ha realizzato sul posto tutti i laboratori che fino ad allora aveva ideato.
© Riproduzione Riservata