L’INTERVISTA
«Nessuno frena la magistratura»
Giovanni Toti, ex governatore della Liguria, contro la debolezza della politica. Sarà a Varese venerdì 29 novembre per un dibattito al Santuccio con Fontana
Nove anni da governatore della Liguria. Un’inchiesta giudiziaria durata a lungo e culminata nella misura cautelare degli arresti domiciliari. Prima la sospensione, poi le dimissioni da presidente della Regione. Un patteggiamento - le accuse erano di corruzione impropria e finanziamento illecito ai partiti - che non è stato un’ammissione di colpevolezza bensì la via meno accidentata per tonare in libertà e riprendersi gradualmente la piena vita, personale, professionale, politica. Giovanni Toti ne ha da raccontare. E lo fa in questa intervista - di sciabola e fioretto - che precede il suo arrivo, venerdì 29 novembre, Varese dove presenterà il suo libro “Confesso: ho governato” e insieme al presidente della Lombardia, Attilio Fontana e al vice presidente del Consiglio regionale, Giacomo Cosentino, affronterà i temi del rapporto tra politica e giustizia, del buon governo, delle riforme mancate. Pronti... via.
Nove anni da governatore e in mezzo un po’ di tutto...
«Sono tanti se uno lo fa seriamente e io l’ho fatto molto seriamente. Ed è anche molto impegnativo se uno decide, come ho fatto, di assumersi le responsabilità di fare le cose senza scaricare sulla burocrazia, sui vari impedimenti che pure ci sono. Nove anni con una serie di difficoltà straordinarie: penso al Ponte Morandi, alle mareggiate del 2018 che hanno devastato tutta la costa italiana, penso poi al periodo del Covid. È stato un impegno importante, chi fa politica lo mette in conto. Quello che non mette in conto è di essere pure processato... ».
Ecco, a questo proposito lei non attacca i giudici ma, almeno per il suo caso, dice di non condividere le loro decisioni...
«Certo che non le condivido. Le accuse che ci sono state mosse dalla magistratura genovese sono accuse ad una modalità di fare politica più che di reati specifici. Rapporti con le imprese e incontri sono stati stigmatizzati come inopportuni o illegali mentre io ritengo che la fiducia tra la politica e l’impresa sia il nodo centrale della crescita del paese. In un mondo competitivo, le imprese vanno dove sentono sicurezza per i loro progetti, dove sanno di avere una pubblica amministrazione che se alzi il telefono ti risponde con solerzia, dove la burocrazia non frena le scelte di investimento».
Altri griderebbero alle toghe rosse...
«Vede, i magistrati applicano le leggi, su questo non c’è dubbio, che poi le applichino malamente è sempre possibile. Ma penso che la prima colpa sia della politica che ha abdicato al suo ruolo centrale nella vita del paese e ha sostanzialmente lasciato campo libero alla magistratura. E non solo quella penale: io ci metto anche tutto lo spazio che si sono prese le Corti dei conti nel valutare nel merito le spese».
Politica fiacca, distratta o complice?
«Io credo che abbia lasciato fare un po’ per ignavia, un po’ per codardia, un po’ per non comprensione del fenomeno. Un potere come quello della magistratura si estende finché non trova un muro ad arginarlo, non ci trovo un granché di strano. Strano e preoccupante è invece che la politica non abbia presidiato quel muro».
Toti, lei ha fatto tre mesi di custodia cautelare agli arresti domiciliari. Quanto le hanno pesato?
«Beh, per una persona che è abituata ad avere contatti con il mondo, a circolare, ad andare in giro, trovarsi chiuso in casa coattivamente pesa. Va anche detto che i tre mesi li ho fatti nella mia abitazione con giardino quindi nulla di fisicamente compromettente. Però per chi si sente innocente è una forzatura enorme, come lo è il fatto che la magistratura abbia messo nero su bianco per la prima volta l’incompatibilità tra un ruolo elettivo e una possibile e potenziale reiterazione del reato senza che vi fossero le circostanze né dell’effettività né della probabilità. Semmai si potrebbe dire che chi mi ha fatto reiterare il reato è la magistratura che registrandoci le telefonate per quattro anni ha continuato a lasciarci agire in un contesto che noi ritenevamo di legalità, loro no. Alla prima notizia di reato la magistratura sarebbe dovuta intervenire e non mandare un ordine di custodia cautelare dopo quattro anni dall’avvenuto presunto reato. Molte cose di quell’ordinanza non mi tornano... ».
Parliamo di politica e di quella che lei definisce “rivoluzione liberale”.
«L’Italia non è un Paese che ha una profonda cultura liberale. È un Paese spesso consociativo, più corporativo che liberale, dove di merito si predica tantissimo ma si pratica pochissimo. Credo che il nocciolo del male della politica italiana sia sostanzialmente in due fattori: la totale mancanza di salvaguardia rispetto alle proprie prerogative e la totale incapacità di dire alla gente quello che è necessario, sostituendolo con quello che la gente vuole sentirsi dire».
Faccia qualche esempio...
«Quando i movimenti anti-casta hanno prevalso, la politica ha fatto scelte anti-casta, quando le opere pubbliche sono diventate un problema di ordine pubblico, la politica ha piegato la testa. Per non parlare dei contratti di lavoro... ».
Parliamone.
«Da anni premiano più l’uguaglianza che il merito. È ingiusto pagare allo stesso modo due persone che fanno un lavoro uguale, bisogna pagarle a seconda della qualità con cui ciascuno fa quel lavoro e l’impegno che ci mette».
Lei politicamente oggi dove si colloca?
«Sono tifoso del centrodestra e lo sarò sempre, non mi troverò mai nelle piazze della Schlein e di Conte. Tifo per il governo Meloni anche se mi sarebbe piaciuto vedere una spinta riformista diversa. Faccio due esempi: l’agenda sulla sanità la sta dettando la Schlein con il grido “sanità pubblica”. Io sono un liberale, vorrei un Governo che dicesse che non è compito dello Stato gestire gli ospedali ma è compito dello Stato garantire il servizio sanitario ai cittadini, che lo faccia il pubblico o lo faccia il privato. Così come è un dovere dello Stato garantire la mobilità ai cittadini, non necessariamente gestire le Ferrovie dello Stato».
Toti, lei nel 2019 era stato qui in provincia di Varese a sostenere l’autonomia? È ancora della stessa opinione?
«Sempre più convinto che serva l’autonomia. E credo che si debba andare anche oltre: trovo che chi oggi accusa il federalismo e l’autonomia di spaccare il Paese sia in malafede e in un’ipocrisia bestiale. Se oggi l'Italia è un paese a velocità diverse non lo si deve certo all’autonomia ma a un centralismo che non ha saputo livellare le differenze tra regioni. Aggiungo un’altra considerazione pratica sull’esigenza di garantire ai territori capacità di manovra: un insegnante o un lavoratore metalmeccanico che vive a Milano oggi con un contratto collettivo sostanzialmente identico in tutta Italia, ha una qualità della vita molto peggiore di un lavoratore a Vibo Valentia dove affitto e costo della vita sono molto inferiori. Dobbiamo lasciare ai territori la possibilità di avere la leva salariale e sanitaria, di avere regole ambientali e procedure burocratiche diverse per meglio competere sul libero mercato dei capitali e delle persone».
Da giornalista che ha diretto Studio Aperto e il Tg4 faccia una domanda all’ex governatore Toti...
«Mi sono chiesto tante volte se ho sbagliato qualcosa, ma non credo. Forse l’unico errore è di aver creduto con un certo ottimismo che si potesse cambiare radicalmente la politica di questo paese»
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