IL PROCESSO
Delitto Bossi: il coltello, i messaggi, il gelo
Ieri l’udienza in corte d’assise a Busto Arsizio: gli imputati Douglas Carolo e Michele Caglioni si sono ignorati

Il grande freddo. Non si sono neppure scambiati uno sguardo Douglas Carolo e Michele Caglioni. Ieri mattina, martedì 18 marzo, si è aperto a Busto Arsizio il processo in corte d’assise per l’omicidio di Andrea Bossi: gli imputati rispondono del delitto in concorso, un’alleanza che li aveva tenuti complici dal 26 gennaio 2024 al 28 febbraio, giorno in cui vennero arrestati. Il primo a rompere il vincolo fu Michele, che ai carabinieri raccontò di getto la sua verità. Lui accusa Douglas della coltellata mortale al ventiseienne ma Douglas nega. «Non avevo motivi di ucciderlo, è stato Michele». Gli avvocati Vincenzo Sparaco e Giammatteo Rona - difensori di Carolo - si sono riservati la richiesta di un confronto davanti all’assise presieduta da Rossella Ferrazzi (a latere Daniela Frattini e i giudici popolari). I legali di Caglioni - Ferruccio Servi e Nicolò Vecchioni - hanno altre carte da giocare. Per nulla convinti che l’arma con cui venne ammazzato Andrea è quella che Carolo fece trovare lo scorso settembre.
I MESSAGGI
Tra i loro novantanove testi hanno citato anche la direttrice del carcere di Busto Maria Pitaniello e un agente della polizia penitenziaria: sarebbero infatti a conoscenza di messaggi che Carolo avrebbe veicolato all’esterno della casa circondariale. Uno, ed è agli atti del pubblico ministero Francesca Parola, lo fece recapitare a Michele attraverso altri detenuti quando ancora l’ex amico era recluso a Busto. Una lettera in cui, sintetizzando al massimo, lo esortava ad ammettere ciò che davvero sarebbe successo quella notte in via Mascheroni. Potrebbero però essercene altri. Sull’arma il Ris non ha rinvenuto tracce di alcun tipo, ma è vero anche che non è stata smontata quindi non si possono escludere residui organici negli interstizi tra il manico e la lama.
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