LA STORIA
L'Europa in un pizzino

Winston Churchill atterrò a Mosca il pomeriggio del 9 ottobre 1944. Ad attenderlo, all’aeroporto, c’era il Commissario degli Affari Esteri sovietico, Vjaceslav Molotov.
Dopo cinque anni terribili la guerra volgeva al termine, ma non era ancora finita: a Ovest gli Alleati erano in Belgio, a Est i sovietici avanzavano in Polonia.
Era tempo di discutere del futuro dell’Europa, perché dopo il conflitto Josif Stalin avrebbe avanzato richieste, e Churchill lo aveva capito.
Fino allo sbarco in Normandia, del resto, i sovietici avevano retto da soli tutto l’urto dei nazisti, costato 16 milioni di morti.
Così, il bulldog britannico aveva preparato l’«Operazione Tolstoj»: sarebbe andato a parlare direttamente con Stalin.
Era solo, perché Franklin Roosevelt era malato e in campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti.
Fu accolto con una solenne e cordiale cerimonia. Poi, la cena al Cremlino. La tavola era imbandita alla perfezione: partenza con antipasti tipici russi, acqua minerale georgiana e naturalmente cognac armeno e vodka a volontà.
Nulla di strano: i banchetti di Stalin erano pantagruelici, duravano cinque o sei ore, e si discuteva di tutto. E, si sa, Stalin amava la vodka e Churchill era un bevitore smodato di champagne - amava il Pol Roger - whisky e cognac: «Quando ero giovane - ironizzava - mi ero dato la regola di non bere mai prima di pranzo. Ora mi attengo a quella di non bere mai prima di colazione».
Insomma, a tavola si faceva politica. Così, alle 22, «il momento era favorevole per trattare», scrisse anni dopo Churchill. Si voltò verso Stalin: «sistemiamo le nostre faccende nei Balcani» disse. Prese un foglietto e scribacchiò: «Romania: Russia 90%, gli altri 10%. Grecia: Gran Bretagna 90%, Russia 10%. Jugoslavia: 50-50%. Ungheria: 50-50%. Bulgaria: Russia 75%, gli altri 25%».
Passò l’appunto all’altro capo del tavolo. Ci fu una pausa, poi Stalin impugnò la sua matita blu e tracciò un segno di «visto». E la faccenda «fu così completamente sistemata in men che non si dica».
Le sorti dell’Europa dell’Est erano decise.
Dopo un lungo silenzio, il vecchio bulldog disse: «Non saremo considerati cinici per il fatto che abbiamo deciso questioni così gravide di conseguenze per milioni di uomini in maniera così improvvisa? Bruciamo il foglio».
Quelle note erano in effetti imbarazzanti, ma «No - rispose Stalin - conservatelo voi».
Il 18 ottobre, dopo aver passato con Stalin «lunghe notti, lauti pranzetti e innumerevoli brindisi», Churchill ripartì.
Si era trovato bene con «lo zio Joe», come lo avevano soprannominato lui e Roosevelt: «Più lo vedo più mi piace».
Sette mesi dopo, la guerra finì e tutto andò diversamente: le zone di influenza furono decise dagli eserciti e dai rapporti di forza, non dalla diplomazia.
Lo stesso Churchill ne prese atto e coniò, nel 1946, la definizione «cortina di ferro».
Ma quel documento fu rivelatore: dopo la guerra il Mondo sarebbe stato spartito dalle superpotenze, con buona pace della volontà dei popoli coinvolti.
Poche carte come il Naughty document, il «documento sconveniente» (la definizione è dello stesso Churchill) e la sua trascrizione in russo hanno intrigato storici e appassionati di tutto il mondo.
Churchill lo aveva descritto nelle sue memorie nel 1953, e bisognava credergli. Anche perché Stalin era morto e non poteva smentire. Ma dov’era finito?
Lo aveva bruciato o conservato?
Oppure lo aveva lasciato al Cremlino? Nel Sud di Londra sorge un palazzone di cemento a forma di cubo. È la sede degli Archivi Nazionali. Sotto il cubo, un lungo sotterraneo. In fondo, un ufficio chiuso a chiave. Dentro c’è una cassaforte e, all’interno, una cartellina con due foglietti ingialliti, uno in inglese, l’altro in russo: dopo decenni sono stati trovati, e ad aprile sono stati messi in mostra al pubblico.
Due semplici fogli strappati da una agenda, che anticiparono la Guerra Fredda e la divisione del Mondo, tra una vodka e un cognac.
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