DA PROVARE
Podcast, il fenomeno del momento

Tra il 2015 e il 2018 gli utilizzatori sono passati da 850mila a 2milioni e 700mila, secondo una ricerca condotta da Nielsen. E si pensa che con il progressivo montaggio sulle auto di 5G e Dab, tenendo conto che il 55% circa degli ascoltatori di radio lo fa mentre è alla guida, il numero dei fruitori del cosiddetto «audio in demand» sia destinato a crescere ancora.
Lo scorso ottobre a Milano si è avuto il terzo Festival del Podcasting per operatori del settore e appassionati. A inizio giugno sempre a Milano la nuova produzione di podcast del Corriere della Sera è stata lanciata con un PodcastDay e pochi giorni dopo Camogli ha avuto il suo primo Festival del Podcast.
Registrazioni che rendono disponibili contenuti audio su richiesta, in differita su siti e app. Testi letterari, informativi, progetti narrativi, giornalistici, spesso composti da un numero predefinito di puntate. Ascoltabili ogni volta che si vuole. Basta scaricarli.
Due le maggiori piattaforme che ne offrono di ogni tipo. Non solo podcast, ma anche audiolibri, per esempio: Audible, creata nel 1995 dal giornalista Donald Katz e acquisita tredici anni dopo da Amazon, e Storytel, nata in Svezia nel 2005. Ma anche SoundCloud. E anche Spotify ha recentemente annunciato l’acquisto di due società nel settore delle audiostorie. Senza contare le radio che trasformano in podcast alcune loro trasmissioni.
«Attraverso l’audio – spiega Marco Ragaini, direttore editoriale di Storytel Italia –, il tempo acquista una sorta di valore più “alto”, viene intenso come “speso bene”. Per questo è importante il contenuto lungo, ma anche quelli più brevi, come appunto racconti e podcast».
Creando ponti tra i contenuti. «Storytel – prosegue Ragaini – è un servizio in abbonamento al quale una persona può inizialmente accedere per esempio per la parte dei podcast, ma in cui può spostarsi: è tipico delle piattaforme on demand in cui non si compra un singolo prodotto». In un’epoca in cui l’uso degli strumenti audio cresce.
«Pensiamo – spiega ancora Ragaini – ai messaggi vocali di WhatsApp, per esempio. Stiamo usando moltissimo la voce, che, con l’ascolto, è una componente in crescita».
Da un’analisi di Edison Research emerge che un americano su quattro ascolta almeno sette podcast la settimana. In Italia, la già citata ricerca di Nielsen dice che il 55% del campione ascolta almeno un podcast all’anno e il 36% conosce bene il servizio. Il 66% li ascolta a casa, il 28 in auto, il 18 sui mezzi pubblici.
Per utilizzare un podcast basta insomma un supporto connesso a internet, dal cellulare al computer, un programma “client” che permette di accedere al servizio e, per quelli a pagamento, un abbonamento. Ma molti contenuti sono gratuiti. E sia gli iPhone sia gli Android hanno una app per scaricarli.
Si possono così custodire e ascoltare quando e dove si vuole. Una caratteristica che porta nei podcast approfondimenti, temi quasi “seriali” (e proprio “Serial”, podcast giornalistico investigativo condotto da Sarah Keonig legando ogni puntata “noir” a quella successiva, nel 2014 li ha resi fenomeno di massa negli Stati Uniti), narrazioni.
Il catalogo dei podcast è a largo spettro, dall’indagine giornalistica ai corsi di lingue, di durata media di mezz’ora con sperimentazioni più brevi per alcuni settori. Con un particolare modo di narrare. «Nei podcast – conclude Ragaini – alla voce narrante si uniscono inserimenti di interviste, documenti sonori o d’epoca: tutta la componente audio è pensata mentre si scrive il podcast e crea un contesto emozionale-immaginifico. L’audio è potente, proprio perché stimola l’immaginazione».
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