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Punk: la ribellione non muore mai

Acquista un lp dei Sex Pistols, degli Stranglers, degli Ultravox!, di Eddie and the Hot Rods, dei Metro, dei Motors e ricevi la vera canottiera punk: in plastica nera riciclata da un sacchetto della spazzatura.
L’idea del 1978 della Dischi Ricordi, distributore per l’Italia di dischi punk rock, la dice lunga su tante caratteristiche del movimento musicale, di moda e sociale che in quegli anni prende piede.
Il punk, appunto, che afferma l’immagine personalizzata usando cose ordinarie recuperate, vecchi oggetti e invita alla sperimentazione e al «Do It Yourself». E che negli Anni Settanta vede manuali, riviste e fanzine che spiegano ai teenager come diventare, appunto, un vero punk.
Anche in Italia. Il percorso nel campo soprattutto della moda che accompagna il punk è raccontato da Matteo Torcinovich nel libro Punkouture. Cucire una rivolta. 1976-1986 (Nomos Edizioni) che, pur puntando sulla moda che ha caratterizzato il movimento, non manca di ricordare quanto affermato da Malcom McLaren, “creatore” dei Sex Pistols, nel 1971, vale a dire che qui musica e moda sono cose inseparabili.
Al punto che con la sua compagna Vivienne Westwood, riconosciuta come una delle maggiori stiliste a livello internazionale e che contribuì a creare lo stile punk, all’inizio degli anni Settanta nel loro negozio Let It Rock accanto ai vestiti vendevano anche dischi.
«Vestirsi e suonare corrono sullo stesso binario – spiega Torcinovich -, ci si veste punk nello stesso modo in cui si suona punk: chiunque può creare il proprio look, non c’è bisogno di sarti o stilisti, chiunque può fare una canzone senza necessariamente conoscere le note e saper suonare uno strumento».
La sua attenzione nel libro è soprattutto alla moda, perché, dice sorridendo, «mancava un libro nella mia biblioteca sull’argomento». Aggiungendo, per spiegare come è nata la voglia di dare vita a questo testo, che gli piace «considerare questo movimento giovanile come una sorta di avanguardia artistica piuttosto che un genere musicale. Una avanguardia che ha generato una enorme quantità di materiale visivo molto innovativo: grafica, fotografia, teatro, design e naturalmente moda. In “Punkouture” analizzo e raggruppo i materiali dell’epoca riguardanti il modo di vestire punk: disegni, foto di interni di negozi, vetrine, manichini, gente comune, musicisti in posa, vestiti, tessuti, scarpe... Punkouture è un recipiente di immagini che racconta della filosofia del Do It Yourself ma anche di mercificazione, una controversa riflessione che si risolve in quel curioso ossimoro punk/moda». Giacche e pantaloni in pelle nera con stivali lucidissimi, calze a rete in tacchi a spillo su microgonne, jeans sbiaditi, strappati e sfilacciati, magliette e felpe logore e decorate con scritte “fai da te”, accessori in stile “bondage”, manette, cinturini in pelle, finanche cinture di castità, berrettino in stile biker, spille da balia ovunque, anche nella guancia. E una pettinatura “mohicana”, con una cresta tenuta ferma da gel o lacca, ma anche da un misto di uova e zucchero. E sono solo alcune delle caratteristiche di una moda che alcuni giornali, in Italia, non hanno ai tempi esitato a definire in grado di far inorridire.
Quasi una sorta di “antimoda”: per vestire punk, si legge anche nel libro di Torcinovich, non si ha bisogno di niente e di nessuno. Pur dando il la a creazioni importanti. Un esempio: alla fine degli Anni Settanta la genialità di Elio Fiorucci, lo stilista italiano che ha saputo miscelare stili e culture complementari tra loro, sfidando anche talvolta fraintendimenti e persino giudizi dei punk più radicali. «La genialità di Fiorucci – sottolinea Torcinovich - è stata quella di cogliere tutto quello che stava succedendo nella strada e di metterlo in vetrina. Certamente lui non ha avuto pregiudizi e malintesi, anzi, ha colto fin da subito l’estetica, i colori, le forme e la provocazione. Il suo lavoro è stato quello di confezionare il Do It Yourself. Chapeau!».
E anche se l’autore ammette di non seguire il contemporaneo, può affermare che, guardando le vetrine dei negozi oggi «spesso ritrovo dettagli chiaramente di ispirazione punk. Giustamente, sono ricicli di idee».
LA MUSICA
Dalle sperimentazioni del garage rock statunitense negli Anni Sessanta all’estendersi anche in Europa. I Ramones in America, i Sex Pistols in Inghilterra: due nomi di band che segnano l’inizio del vero e proprio movimento del punk rock. Movimento che, sebbene con i suoi denominatori comuni di eccitazione e sessualità provocatoria, assume nelle diverse aree di espansione anche diverse caratteristiche: sociopolitiche a Londra, uno streetsyle trasandato nella moda newyorkese, più glamour a Los Angeles.
E se la moda ne risente in maniera forte, è la musica a dargli il nome, che in lingua inglese si lega ai significati di sporco, schifoso, brutto, ubriaco e che riporta anche alle donne di strada. Essere punk significa essere scandaloso, scabroso, censurabile, significa attaccare la borghesia benpensante e creare una moda “fai da te”. Partendo da un movimento di pensiero e musicale. Per essere espressione di una comunità di giovani comunque somiglianti nell’aspetto e nel vestire, con caratteristiche che li identificano anche nel comportamento.
IN ITALIA
Era il 1978 quando una quasi diciassettenne Anna Oxa debuttava a Sanremo con un look androgino vestita da punk, classificandosi seconda con «Un’emozione da poco». Verso la fine di quello stesso anno il giornalista e conduttore Michel Pergolani fece in tv un servizio sui punk londinesi «e anche la trasmissione “Odeon (tutto quanto fa spettacolo)” – racconta Matteo Torcicovich – mandava in onda “i nuovi giovani scapestrati inglesi”».
Ma in Italia, aggiunge, «tutto era un po’ confuso, nulla di definito. In poche parole i giornali scrivevano che il Punk Rock era una musica suonata male da un branco di giovani annoiati, vestiti di pattume e in rivolta contro tutto. Fino agli inizi degli anni Ottanta in Italia vedevi pochi punk e non erano visti neanche troppo bene: c’erano pregiudizi e malintesi». Il fenomeno, insomma, e lo si legge anche in diversi articoli sull’argomento, era guardato con una certa diffidenza: mentre i Sex Pistols andavano alla grande, le band punk italiane restavano ai margini. Poi il movimento prese sempre più piede anche da noi: tra gli esempi gli Skiantos di Bologna, i Decibel con cantante Enrico Ruggeri e le Kandeggina Gang con Jo Squillo a Milano, i Gaznevada, i Chrisma, gli Elektroshock. E sul finire degli anni ottanta anche i Punkreas nati a San Lorenzo di Parabiago. Che proprio oggi suoneranno all’Alcatraz di via Valtellina in un concerto-festa per celebrare i trent’anni di attività con tanti ospiti.
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