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Radio: nelle onde elettriche c’è ancora il mondo d’oggi
Il primo servizio radiofonico avvenne il 23 febbraio 1920. In Italia la scoperta non fu accolta con entusiasmo fin dagli esordi

«Arriva dalla gente, entra nelle case, ci parla, ma soprattutto “libera la mente”». I motivi che elenca Eugenio Finardi in una sua famosa canzone valgono tuttora per molti appassionati radiofili. E sono forse gli stessi per cui la radio, che quest’anno festeggia il secolo dalla sua prima apparizione italiana in concomitanza con il 150esimo anniversario dalla nascita del suo inventore Guglielmo Marconi, è nonostante l’età un mezzo ancora imprescindibile, frequentato, moderno, proprio perché ha saputo adattarsi a contesti ed epoche storiche che ne hanno messo a dura prova l’attualità. Certo, la radio non fu accolta con entusiasmo fin dagli esordi, soprattutto nella Penisola, che costrinse Marconi a lanciare la sua scoperta nel 1920 nella stazione inglese di Chelmsford, nell’Essex. Il primo servizio radiofonico avvenne il 23 febbraio dello stesso anno da allora si è imposto come incredibile mezzo di diffusione musicale, politico e culturale. Tra anni Venti e Trenta gli apparecchi radiofonici erano costruiti all’interno delle celebri cassette in legno con grandi manopole di comando, diventando poi uno dei simboli degli anni bui della guerra per via dei discorsi che despoti e monarchi recitavano di fronte a una popolazione che da fisica diveniva anche virtuale. Strano e al contempo ragionevole sembra dunque il fatto che, appena dopo il secondo conflitto mondiale, la radio comincia a essere percepita come mezzo di discussione democratica. Nel 13 febbraio 1946 (data oggi festeggiata come la Giornata Mondiale della Radio) fu fondata la radio delle Nazioni Unite e solo un anno dopo, sotto la guida del fisico William Shockley, i Bell Laboratories mettevano a punto il transistor, ponendo fine all’era delle valvole e dando il via a un’industrializzazione di prodotti sempre più agevoli e trasportabili. Nel 1954 la Regency lanciò il primo modello radio a transistor, facendo del mezzo anche un provante campo di confronto per designer. La Philips si impegnò così nella Philetta, caratterizzata da una fisionomia compatta e lineari. Nel decennio successivo, invece, la Radio. Cubo di Brionvega, ideata da Marco Zanuso e Richard Sapper, utilizzava materiali innovativi come plastica e zamak per delineare una nuova concezione dell’oggetto domestico, ormai non più da nascondere ma da esibire per questioni di gusto e raffinatezza. Non a caso uno dei più solerti collezionisti di radio fu il duca del glam David Bowie. Nel corso dei decenni, l’affetto verso la radio non è scemato, complice la sua capacità di adattarsi ai nuovi mondi della web radio (caso emblematico fu YouTube), delle piattaforme streaming con cui collabora assiduamente, fino alle contingenti novità dell’Intelligenza Artificiale. Proprio YouTube sta collaudando una radio personalizzata dall’AI, creata grazie agli input verbali e persino canori dell’utente, che può interagire comunicando l’umore delle canzoni che vuole ascoltare o canticchiandone le prime note. E poi, la radio fa bene. È un antidoto all’indifferenza che pone l’ascoltatore in un’attenzione costante. Musica e voce umana generano familiarità e rassicurazione, prevenendo la solitudine. Uno studio pubblicato su Frontiers in Psychology ha dimostrato inoltre come abbia effetti positivi sull’umore degli anziani, fungendo da antistress. Ma crea anche comunità e appartenenza. Insomma, riprendendo Finardi, «con la radio non si smette di pensare».
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