SALUTE
Sostegno in... Acto

ll tumore ovarico è la più grave neoplasia ginecologica: interessa 50mila donne italiane e registra ogni anno 5.200 nuove diagnosi, con una sopravvivenza a 5 anni di appena il 40%, negli stadi più avanzati della neoplasia.
Proprio per questa sua gravità, il tumore ovarico dovrebbe essere curato in ospedali attrezzati per affrontare la malattia da tutti i punti di vista (diagnostico, chirurgico, terapeutico, infermieristico e psicologico-assistenziale), rispondendo a tutte le esigenze delle pazienti e dei loro familiari.
Ma le cose non stanno sempre così? Cosa pensano le pazienti degli ospedali dove sono state ricoverate?
“Per saperlo è stata lanciata su Facebook la campagna >lospedalechevorrei - fa presente Nicoletta Cerana, presidente
dell’Associazione nazionale pazienti con tumore ovarico (Acto).
La campagna è stata seguita da oltre 90mila persone e sono 150 le donne che vi hanno aderito compilando un questionario.
La maggioranza si è detta soddisfatta delle cure ricevute e ha giudicato positivamente la propria esperienza in ospedale, ma una donna su tre ha dichiarato di essersi sentita molto sola al momento della diagnosi e due donne su cinque hanno dichiarato di non aver ricevuto consigli su come tornare, dopo le cure, alla vita di tutti i giorni.
Una ripresa difficile, tenuto conto che molte di queste pazienti non si sentono più «donne come prima».
Dalla campagna Acto, realizzata per conto di Clovis Oncology, è emerso che c’è ancora molto da fare nell’area del supporto psicologico.
Bisogna portare le esperienze di queste pazienti a conoscenza dei centri specializzati di tutta Italia, discutere insieme ai medici e alle istituzioni come colmare tanti bisogni insoddisfatti, ma soprattutto bisogna rendere alcuni ospedali “più ospitali”. In che modo?
Incoraggiando corsi di formazione, sistemi di auditing e altro ancora, se vogliamo migliorare la qualità della risposta sanitaria offerta, non solo dal punto di vista medico-terapeutico ma anche psicologico-assistenziale, soprattutto nel periodo post-cura.
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