SU DUE RUOTE
Scatto fisso, bici stilosa

In principio erano due ruote, un manubrio e una sella. Poi anche le biciclette si sono evolute: sono arrivati i freni, quindi i parafanghi, infine i cambi. Prima quelli che si manovravano sganciando in corsa la ruota posteriore (un suicidio, a pensarci oggi), poi quelli comandati dalle levette sulla canna (molto più sicuri); da ultimo quelli al manubrio, sempre più comodi e tecnologici.
Adesso che ogni city bike appena degna di questo nome vanta almeno 21 rapporti diversi di velocità, ecco che sempre più appassionati sentono il bisogno di fare marcia indietro: di tornare a biciclette essenziali, che possano regalare l’emozione di una pedalata rotonda e gratificare lo sguardo con linee pulite, prive di fronzoli. Dev’essere per questo che qualche anno fa in America è scoppiata la moda delle «fixed bike», le biciclette a scatto fisso.
Se moda dev’essere, di questi tempi deve essere estrema. Quindi se l’intenzione è eliminare tutti i fronzoli che hanno reso le biciclette così complicate, perché fermarsi ai parafanghi e ai cavalletti?
L’operazione di pulizia deve andare fino in fondo, eliminando non solo i cambi ma anche lo scatto libero, cioè il meccanismo che permette di pedalare in avanti ma non indietro, «liberando» la ruota dall’azione dei pedali quando questi sono fermi o girano in senso contrario.
Così per fermarsi basta rallentare la pedalata, e anche i freni diventano inutili: quindi via cavi, leve, molle. E la bicicletta torna quella che era in principio: due ruote, un manubrio e una sella, appunto.
La leggenda narra che la moda delle «fixed» sia nata in California, dove da tempo una certa filosofia minimalista fa scuola un po’ in tutti i campi, a partire dallo stile di Apple per i suoi prodotti.
Se nei computer bisogna nascondere perfino il bottone di accensione, perché tenersi i cavi che ingombrano i manubri?
Per guidare una bicicletta non basta una barra, possibilmente diritta?
In questo caso, gli innovatori non avevano che da guardare al passato. In particolare alle robustissime biciclette utilizzate dai fattorini, gente che più che sullo stile puntava sull’affidabilità del mezzo.
Fedele al principio di Henry Ford secondo cui tutto quello che non c’è non si rompe, queste biciclette erano più che essenziali: per frenare servivano gambe d’acciaio ma nessun rischio che qualche rottura improvvisa potesse mettere a rischio una consegna, e quindi lo stipendio.
Certo, allora si trattava di mezzi più che spartani, pesantissimi e pure bruttini. In una moda invece anche l’occhio vuole la sua parte, ed è qui che la storia dei fattorini si incrocia con i principi della nuova «Arts & Crafts», cioè il movimento artistico che si propone di trasformare i prodotti dell’artigianato in oggetti d’arte.
Ecco quindi che tornando all’essenziale le biciclette si fanno più belle: un telaio liscio liscio, un manubrio che serve giusto per girare a destra e a sinistra, un paio di ruote e un sellino possibilmente di cuoio, nel caso un po’ vintage ma sempre comunque curatissimo, che da soli basti per fare la differenza con le biciclette tutte uguali che si vendono nei supermercati.
I colori fanno il resto: niente adesivi, niente sfumature che pure andavano tanto di moda negli Anni Ottanta e Novanta: vince la tinta unica, meglio se pastello. E meglio ancora se i cerchi e le gomme richiamano i colori del telaio, così che la bici possa apparire subito il risultato di un lavoro accurato. Poi questa opera d’arte va guidata, ma qui si apre tutto un altro capitolo.
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