LA MOSTRA
“Stregherie”, scandali e verità nella storia

Piegata su un ciocco di legno, tenta invano di difendersi dalle accuse che le vengono mosse. E man mano che il processo va avanti, il pubblico, che siede a sua volta sui ciocchi di legno disposti a cerchio attorno alla voce dell’accusatore in una stanza di un tribunale medievale nel 1539, viene illuminato ed è come se fossero i visitatori, a uno a uno, a diventare gli accusati di stregoneria. A sentirsi prigionieri di accuse senza possibilità di salvezza, a trovarsi costretti a confessare pur di non subire torture peggiori. E a finire condannati a non poter più uscire di casa.
LA MOSTRA
La ricostruzione di un processo per stregoneria di metà Cinquecento è in una delle sale che compongono la mostra “Stregherie. Fatti, scandali e verità sulle sovversive della storia”, a cura di Luca Scarlini, ideata e prodotta da Vertigo Syndrome e allestita al Belvedere della Villa Reale di Monza fino al 26 febbraio. Una sala all’uscita della quale il pubblico è invitato a prendere da un sacchetto di iuta un cartoncino che riporta il nome di una strega condannata e a incarnarne lo spirito, dandole voce anche se in forma metaforica, per tutta la giornata. La voce di condannati per stregoneria, che fossero donne, come la maggior parte, o anche uomini, come quel Monigatti Giovanni, una fama di ubriacone, di un comune dei Grigioni, in Svizzera, processato nel 1681 dopo che qualcuno aveva detto di aver sentito urli provenienti da casa sua e sospettato di aver stretto patti con il diavolo.
Da cento incisioni originali antiche provenienti dalla collezione Guglielmo Invernizzi, opere di Dürer, Goya, Delacroix a manifesti cinematografici a tema, da strumenti rituali e amuleti provenienti dal Museum of Witchcraft, il museo della stregoneria, di Boscastle, in Cornovaglia a trattati come il Malleus Maleficarum nell’edizione del XVI secolo, il trattato in latino pubblicato alla fine del Quattrocento per reprimere l’eresia, il paganesimo e la stregoneria e dove sono indicati caso per caso i supplizi e le pene da infliggere a chi era accusato di stregoneria alla narrazione, attraverso racconti scritti apposta per l’esposizione, di storie che, con la voce della drammaturga Magdalena Barile, pongono le “streghe” al centro, è un percorso espositivo che non presenta solo scene di malefici, torture, sabba osceni, crudi episodi di stregoneria ma anche scene luminose di streghe buone che guariscono bambini dalle malattie e simboli magici nascosti in quadri pastorali. E che, tra conoscenze antiche, cerimonie nascoste, sacralità e anche erotismo, racconta una figura di donna rimossa dalla cultura e dalla vita. Per concludere, quando si giunge in fondo, nella stanza finale, avendo acquisito la consapevolezza della vera natura delle streghe, donne che spesso erano ritenute tali solo perché volevano affermare la propria personalità, perché volevano sfuggire a un marito violento, perché attratte dai poteri delle piante, o anche per odio verso i propri nemici e insoddisfazione di sé, che «se sei la strega che sei è perché sei il frutto del tuo cammino personale e di ciò che altre persone, amiche o avversarie, ti hanno aiutata a diventare».
Dieci stanze, ciascuna delle quali mette in scena un diverso aspetto della vita della strega, ripercorrendone la storia dalla tradizione mitologica fino all’epoca moderna. Dalle Erinni e da Circe fino a persecuzioni reali che non sono state soltanto in lontani periodi della storia: l’accusa di stregoneria è infatti ancora purtroppo viva ancora oggi in diversi Paesi del mondo.
Ma essere creduta una strega, racconta ancora la mostra a Monza, essere credute capaci di scatenare un potere arcano, sconosciuto, inspiegabile e terribile è stato talvolta anche una strategia per sopravvivere, essere temute e rispettate per donne che altrimenti sarebbero state sopraffatte e sottomesse dal patriarcato dilagante del mondo antico.
© Riproduzione Riservata