SEBASTIANO RIO
Sulla Harley respirando la libertà

La mia “Sgarbata”. La chiama così, più con affetto che con ironia. Perché quella moto non è solo una moto. Bensì una di famiglia. A battezzarla così è stato il benzinaio, proprio nel giorno del ritiro dal concessionario. «E da subito è stato il nome perfetto, considerando come l’ho personalizzata».
È sempre andato in moto, sin da ragazzo, ma Sebastiano Rio, varesino residente da tempo in Emilia Romagna, non è salito in sella per un lunghissimo periodo. «A 20 anni ho avuto un bruttissimo incidente - racconta il dirigente industriale che ha lavorato alla Whirlpool, alla Ferrari ed ora alla Brembo - così non sono più andato in moto per cinque lustri. Ma nel 2011 ne noleggiai una per un viaggio in Austria di 450 chilometri. Era una Harley-Davidson, ne rimasi folgorato. Tornai a casa il lunedì mattina e il pomeriggio ne comprai subito una a Parma».
L’ingegnere bosino identifica i gioielli della casa motociclistica statunitense come un’irrefrenabile passione. «Una doppia passione. Perché al piacere di andare in giro in sella ad una Harley-Davidson si abbina l’aspetto estetico della personalizzazione. L’hobby è doppio: il piacere del viaggio e il divertimento della costumizzazione. Ho costruito dei pezzi con le mie mani e li ho pure brevettati. Così la mia moto è solo mia».
Dal 2011, comunque, Sebastiano Rio è diventato un harleysta convinto e fedele. Ha partecipato a svariati raduni in Europa ed ha iniziato ad usare la moto tutto l’anno in città: «D’inverno - dice - ti dà ancor più soddisfazione».
La European Bike Week nei pressi del Lago di Faaker, il grande raduno che ogni anno viene organizzato in settembre in Carinzia, è divenuto un appuntamento irrinunciabile, anche perché si è trasformato, per il dirigente varesino, nell’occasione per ritrovare tanti amici. «Il motivo ufficiale - rivela Sebastiano Rio - è quello di incontrarci facendo tutti insieme il viaggio dall’Italia all’Austria e attraversando strade splendide come quella del Passo Pordoi, sulle Dolomiti. Ma la vera spinta è la gioia di andare in moto: non conta la meta, quella è solamente un pretesto, l’importante è andare in moto. E fare tanti chilometri».
Nel credo del vero harleysta l’abbigliamento riveste un ruolo cruciale. «I motociclisti hanno due stili diversi - spiega l’ingegnere cresciuto al Liceo scientifico di Varese -, c’è chi predilige giubbotto in pelle e casco integrale fluorescente e chi invece sceglie jeans, smanicato, t-shirt, casco senza visiera e Ray-Ban. Io appartengo alla seconda fascia. E naturalmente la maglietta dev’essere griffata Harley-Davidson, per cui ovunque vada nel mondo cerco il concessionario per acquistare quella del posto, da Singapore al Canada».
Moto, viaggio, libertà. Sembra tutto tagliato su misura per l’ harleysta. E la famiglia? «Sicuramente è il mio spazio, a volte salgo in moto e vado fino a Lerici soltanto per fare colazione. Ma ho convinto anche mia moglie Cristina (anche lei varesina - ndr) ad accompagnarmi spesso, per le vacanze o anche soltanto per un weekend. E pure i ragazzi sono stati contagiati. Nel frattempo ho acquistato una seconda Harley perché la “Sgarbata” ha otto anni e 80mila chilometri percorsi, per cui voglio proteggerla e preservarla. E poi l’ho resa talmente scomoda per il passeggero che mi sono sentito in dovere di prenderne una più comoda per mia moglie».
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