ARTGRAM
Un’opera al dì per un anno ricco d’arte

Artgram 2021 è un’agenda bellissima, che nel corso dell’anno educa lo sguardo. E lo fa attraverso una selezione di opere – dipinti, sculture, mosaici ma anche disegni e architetture –, che ci guidano nella scoperta e nella lettura dell’arte.
Dai post giornalieri su Instagram è scaturito un progetto più ambizioso firmato da Andrea De Marchi, professore ordinario di Storia dell’arte medioevale e coordinatore del Dottorato regionale in storia delle arti e dello spettacolo all’Università di Firenze.
De Marchi si rivolge sia a un pubblico di specialisti sia di non addetti ai lavori, e lo fa con un linguaggio puntuale e scientifico, capace di suscitare curiosità e riflessione, insieme al desiderio di ritornare a vedere le opere e i luoghi, «oltre l’ipnosi del web». Ne abbiamo parlato con l’autore.
Come è nata l’idea di Artgram?
«Tempus fugit: l’idea che tutto il lavorio dei miei post su Instagram (andrea.demarchi2019), a cui dedico tante energie, si disperdesse nel nulla mi angosciava, e così ho pensato con l’editore Mandragora, che ha lavorato in tempi record e con rara eleganza grafica, di sfornare questo curioso almanacco, sotto pretesto di agenda, consapevole che l’editoria d’arte debba rinnovarsi intercettando gli aspetti positivi, di freschezza e occasionalità, che sono prerogativa dei mezzi social».
Qual è stato per lei il valore dell’uso di Instagram per comunicare l’arte?
«La possibilità di far scattare dei corto circuiti fra le immagini di opere d’arte, dettagli specialmente, e il discorso su di esse, selezionato per suscitare curiosità e suggerire collegamenti».
Come conciliare i tempi brevi dei social con i tempi lunghi di uno sguardo profondo?
«Direi col ritorno. Se una cosa piace, ci si ritorna, e allora anche i frammenti non si volatilizzano, ma si sedimentano, costruiscono qualcosa. Diciamo un’attitudine, una sensibilità: non solo delle nozioni. La pubblicazione in Artgram, dove le immagini sono molto piccole, ma sono tante, dovrebbe svolgere questa funzione, invitare al ritorno su cui si costruisce la memoria».
Si può essere chiari ma non banali nel raccontare di un artista o di un’opera, anche nelle poche parole concesse da un post?
«Ci spero. Importante è attirare l’attenzione su aspetti particolari, comunicare qualcosa di non scontato, e poi curare il lessico, che funzioni in maniera davvero efficace per quell’opera, giocando su due fronti: da una parte la proprietà anche del lessico tecnico (che sia sui procedimenti esecutivi o sulle sottigliezze iconografiche), dall’altra il tentativo di suggerire emozioni con la qualità poetica del dettato».
Come ha selezionato le opere presentate in Artgram?
«Anche casualmente all’inizio, trascegliendo i post di cui ero più convinto, ma poi cercando dei tramandi, per suggerire in qualche modo un filo cronologico lungo il percorso della storia dell’arte, con un’accentazione maggiore sui secoli di cui mi occupo maggiormente, fra Tre e Cinquecento. Nella parte finale ho invece organizzato le immagini e i relativi commenti secondo temi di metodo che mi stanno a cuore: il recupero della percezione originale delle opere, le qualità luministiche comprese nel contesto, l’apprezzamento nei nostri monumenti anche di stratificazioni di epoche diverse, la riscoperta del territorio, della bellezza di un’opera che è ancora al suo posto».
Perché sceglie di mostrare i dettagli?
«È anche il mio metodo didattico, nelle mie lezioni. Un’opera viene dissezionata, esplorata brano a brano, per giungere poi a ricomporre questi frammenti in una comprensione globale. Quando si isola un dettaglio si ha una visione parziale, ma si vedono più a fondo alcuni aspetti. Cambiando dettaglio e poi per gradi risalendo al generale si aggiusta il tiro e si acquisisce crescente consapevolezza della specificità vera di quell’opera. Come in una messa a fuoco progressiva. È un processo complesso di circolarità ermeneutica: io parto fatalmente da dei luoghi comuni, giusti o sbagliati che siano, ma poi li rimetto in discussione e costruisco così una comprensione generale più matura».
Dalle pagine di Artgram si intuisce che lei è un viaggiatore instancabile. Qual è il valore della riscoperta del territorio?
«Di questi tempi si viaggia molto meno, ahimè. Recupero anche immagini di viaggi dei mesi e degli anni passati, per forza. Comunque vuole essere un invito a non accontentarsi del consumo facile e superficiale delle opere d’arte come pure immagini, attingibili all’infinito sul web. Ma coltivare il gusto e l’emozione di scoprirle in un turismo di prossimità, curioso di fare scoperte».
Nel suo peregrinare è arrivato fino a Santa Maria dei Ghirli a Campione d’Italia. Cosa la affascina di questo luogo?
«Io sono cresciuto da bambino vicino al Cusio, per cui i laghi sono per me luoghi struggenti, anche se un po’ malinconici. L’approdo e le rampe settecentesche davanti al santuario di Santa Maria dei Ghirli, e dall’altra il loggiato affacciato sul lago, sono bellissimi. Ma soprattutto straordinaria è la ricchezza di opere spaziando dalle pitture gotiche, trecentesche e dei de’ Veris, agli interventi rinascimentali e barocchi, di sculture affreschi e stucchi. Alla fine riescono a creare un’armonia inattesa, festosa. Un po’ come all’interno della basilica di San Giulio d’Orta».
Quale opera del territorio di Varese rivedrebbe volentieri?
«Vorrei tornare al Sacro Monte e all’eremo di Santa Caterina del Sasso Ballaro. A Castiglione Olona e a Castelseprio ci torno periodicamente! Castiglione Olona poi per me è emozionante, e meriterebbe più attenzioni, l’intero borgo dovrebbe essere considerato un unico monumento. Quando si guardano le vecchie foto fa un po’ tristezza pensare quanto dell’arredo urbano diffuso si sia deteriorato e si sia perso. Ma se riqualificato proprio nella cura dell’arredo urbano, come se fosse un intero museo, diventerebbe un posto unico al mondo! Forse qualcuno penserebbe che sarebbe una mummificazione, ma ci vuole coraggio e lungimiranza, all’opposto! Il contesto naturalistico dell’Olona dove il cardinal Branda andava a caccia e a pesca non è più recuperabile, ma molto si può fare per preservare quanto resta dello charme di quel posto».
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