SALUTE
Alzheimer, insieme contro i pregiudizi

Nel mondo si stima che ci siano 46,8 milioni di persone con una forma di demenza e si prevede che questa cifra sia destinata a raddoppiare ogni vent’anni. In Italia sono circa un milione, di cui 600mila affette da Alzheimer.
L’80% dei malati di demenza è assistito a domicilio. Un universo nell’universo, un piccolo mondo spesso confinato tra le mura di una casa, dove si vive la quotidianità, dove cambiano gli assetti famigliari e le relazioni tra le persone. A offrire uno spaccato di questa realtà così frequente ma al tempo stesso nascosta è Eleonora Belloni, psicologa psicoterapeuta originaria di Varese – ha frequentato il liceo classico «Cairoli» e gli scout del Varese 3, ha giocato a pallanuoto nella Von - ma nel 2003 trasferitasi in Veneto, dove ora lavora anche come ricercatrice a Padova e all’Israa di Treviso.
È l’autrice di «Alzheimer, badanti, caregiver e altre creature leggendarie», pubblicato da «Il pensiero scientifico editore».
Com’è nata l’idea di questo libro?
«Il mio lavoro con le persone malate mi ha portata a interessarmi anche alle persone che stanno loro vicine e se ne prendono cura (i cosiddetti “caregiver familiari”). Nel 2012, durante il dottorato di ricerca in Scienze Sociali, decisi di esplorare le narrazioni di malattia secondo le prospettive di coniugi e figli di una persona con demenza e da questo lavoro emersero nuovi interrogativi. Ricorreva ad esempio la relazione ambivalente tra familiari e le lavoratrici straniere (comunemente chiamate “badanti”), per cui mi interessai al confronto delle voci di questa coppia di caregiver (familiare e assistente). Questa opportunità arrivò grazie a un bando di ricerca promosso dall’Associazione Infine Onlus di Torino, così tra il 2015 e il 2017 sviluppai questo nuovo studio che portò alla creazione del libro».
Quale messaggio vuole trasmettere?
«Con questo libro è per me importante far conoscere la demenza e ciò che significa prendersi cura di una persona malata. Partendo dalle esperienze dirette di familiari e badanti, ho voluto offrire chiavi di lettura e indicazioni pratiche per poter affrontare con meno paura un’esperienza tanto complessa e totalizzante. È un libro divulgativo che si rivolge ai caregiver (familiari, badanti e professionisti), ma che anche vuole essere un invito a tutti ad avvicinarsi all’universo che circonda le persone con Alzheimer. In questo modo potremo abbattere il muro di isolamento e pregiudizi che ancora accompagna questa malattia. Credo inoltre sia importante far uscire la cura della demenza dalla sfera privata, entro cui è ora relegata, per restituire valore alle storie dei caregiver e riconoscere il loro fondamentale ruolo sociale».
Come reagiscono di solito le persone che si trovano a gestire un parente o un proprio caro affetto da demenza?
«Premetto che si tratta di un’esperienza molto personale per cui sono svariati i modi in cui il familiare di una persona malata può affrontare questa situazione: molte sono le variabili che influiscono su questo processo (ad esempio la fase della malattia, il rapporto che si ha con il proprio caro o il tipo di supporti disponibili). Ricevere una diagnosi di demenza è spesso vissuto come un momento di rottura della propria biografia, in cui si entra in un mondo sconosciuto. Questo è spesso motivo di ansia e preoccupazioni: ciò che prima si dava per scontato necessita di essere poco a poco rivisto e riadattato in base ai cambiamenti dati dalla malattia. Prendersi cura di una persona con demenza, inoltre, comporta un notevole carico in termini economici, fisici e psicologici. Si possono incontrare vissuti di solitudine, depressione e burn-out (esaurimento) che mettono a dura prova la resistenza di tutta la famiglia. Non a caso si parla della demenza come di una “malattia familiare”, poiché coinvolge non solo il malato ma anche chi gli sta attorno, familiare o badante. Per questi motivi è importante saper chiedere aiuto per trovare nuovi strumenti che possano aiutare in questo cammino».
Quali possono essere i principali consigli da dare?
«Innanzitutto continuare a cercare risposte dai medici e dai professionisti, al fine di trovare un buon interlocutore che possa spiegarci cosa significa demenza e quindi quali tecniche utilizzare per assistere una persona con questa malattia. Ci sono enti e associazioni che offrono validi servizi per i caregiver come incontri di formazione, supporto psicologico e consulenza (spesso gratuiti). Parlare con un professionista e confrontarsi con altri caregiver permette di contrastare i sentimenti di solitudine e impotenza, aiutando la persona a trovare nuove risorse. Allo stesso tempo è importante imparare a comprendere i vissuti della persona malata per trovare attività e contesti adeguati, che la sostengano e stimolino il più possibile le sue capacità mentali e di socializzazione. Chi ha la malattia resta una persona con emozioni, preferenze e una storia».
Quali temi vorrebbe affrontare in futuro?
«Vorrei andare in Romania per indagare gli effetti del lavoro di cura sulle assistenti che hanno scelto di rientrare nel Paese di origine: comprendere com’è cambiata la loro vita prima e dopo il lavoro di badante, come si sono sviluppate le loro relazioni familiari. Questi temi sono ancora poco esplorati dal punto di vista psicosociale, benché dal 2006 alcuni psichiatri ucraini parlino di “Sindrome Italiana” per indicare lo stato di profonda depressione di molte “ex badanti” e dei loro figli lasciati in patria. Un altro tema che vorrei studiare è l’utilizzo delle nuove tecnologie nella cura delle persone con demenza e nello specifico la relazione tra persona malata e robot o realtà virtuale».
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