LA MOSTRA
Villa Mirabello è casa Guttuso

La pittura di Renato Guttuso, al suo tempo, la si amava o la si snobbava.
L’industriale viggiutese Francesco Pellin (scomparso dieci anni fa) l’amò tanto profondamente da diventarne il maggior collezionista e di istituire nel 1999 una Fondazione volta a «onorare la memoria dell’artista e valorizzarne l’opera».
L’inizio di questo sodalizio avviene casualmente in un albergo di Ischia nel 1973.
Lo racconta la mostra varesina ai Musei Civici di Villa Mirabello «Renato Guttuso a Varese. Opere della Fondazione Pellin», a cura di Serena Contini.
Nella sezione d’apertura, «Protagonisti», la narrazione è affidata a fotografie e documenti, quindi alle uniche quattro opere in prestito: i ritratti ad olio del collezionista e della moglie Adriana, il grande autoritratto del Maestro («L’Atelier») e il «Paesaggio d’Ischia» a penna e inchiostro rosso realizzato nel 1974 in occasione della nascita del primogenito dei Pellin.
Sono invece della Fondazione i ventuno quadri delle sezioni tematiche successive: «...nella tua collezione è esemplato un arco del mio lavoro», scriveva Renato all’amico Francesco.
La mostra è un punto di partenza al quale l’amministrazione comunale intende dare un seguito con proposte di più ampio respiro, in cui l’attività pittorica di Guttuso potrà essere affiancata a quelle di critico e di scenografo, e che dovrà necessariamente andare più indietro nel tempo.
Infatti, la tela più vecchia ora in mostra, «Natura morta barattoli», è dipinta nel 1966 (l’artista nato a Bagheria è registrato a Palermo il 2 gennaio 1912) quando già molta acqua è passata sotto i ponti: quella di fine anni Trenta, nella quale la sua poetica si porta sempre più verso un espressionismo dai forti contenuti etici; del dopoguerra con l’adesione nel 1947 al Fronte nuovo delle arti alla ricerca di un arte «che potesse fondersi con le lotte della classe operaia, esprimerle e spronarle», ma il cui linguaggio neocubista picassiano è scomunicato da Togliatti; quella avviata negli anni Cinquanta, di vigoroso segno realista.
È in questo decennio che Guttuso inizia a trascorre le sue estati nella frazione varesina di Velate, in Villa Dotti, ereditata dalla moglie Mimise, dove in tranquillità dipinge famose grandi tele.
E proprio l’esposizione di Varese ha un acuto nell’impattante olio «Van Gogh porta l’orecchio tagliato al bordello di Arles», del 1978, che esplora un aspetto del rapporto intenso, appassionato e di sentire carnale tra il pittore siciliano e il mondo femminile.
Dell’82 è invece la tela dipinta a Velate «Spes contra spem», grandioso affresco allegorico, autobiografico, capolavoro dell’ultima stagione dell’artista scomparso a Roma cinque anni più tardi.
«La speranza contro la speranza» è la messa in scena di una cerimonia degli addii nella dimensione di una stanza caleidoscopica: un nudo femminile spalanca la portafinestra aperta su un balcone di fronte al mare mentre il luminoso spazio interno sembra accogliere, a sinistra, l’artista e il suo intenso passato e, a destra, alcune significative presenze, nel mentre una bimba attraversa di corsa lo spazio; dall’alto incombono oscuri mostri, memorie infantili della settecentesca Villa Palagonia di Bagheria.
Dieci studi ad acquarello, china o matita nera su carta di parti dell’opera (la nuda, il drappo rosso, i presenti, i mostri) contribuiscono a chiarire il processo creativo dell’opera e la presenza di citazioni picassiane.
Gli anni Ottanta offrono un ventaglio di altri soggetti, dal calciatore al tema del gineceo, opere che non perdono quella sensibilità figurativa esasperata nelle forme e nei colori propria di una sicilianità vissuta dall’artista sino in fondo.
© Riproduzione Riservata