BIENNALE
L’arte in tempi complessi

Un rito festoso quanto defatigante. Il pellegrinaggio alla Biennale d’arte di Venezia ha preso il via. Lo celebrano artisti, galleristi, collezionisti-investitori, critici d’arte contemporanea, stampa e quella schiera di giovani creativi che sperano un giorno di essere anche loro tra i fortunati prescelti (più del 50% dei visitatori ha meno di 26 anni).
Quadri e sculture si mischiano a installazioni, video, immagini fotografiche più o meno manipolate, happening, robotica. Un crogiuolo di tendenze e contenuti cui il curatore della manifestazione cerca di dare una direzione. Così Ralph Rugoff - americano classe 1957, critico e saggista direttore della Hayward Gallery di Londra - intitola la 58ma Esposizione Internazionale d’arte «May You Live In Interesting Times».
L’espressione inglese a lungo erroneamente attribuita a un’antica maledizione cinese evoca periodi di incertezza, crisi e disordini. Insomma «tempi interessanti» come gli attuali. Con un onesto avvertimento: «l'arte però non esercita le sue forze nell’ambito della politica... non può fermare l’avanzata dei movimenti nazionalisti e dei governi autoritari, né può alleviare il tragico destino dei profughi in tutto il pianeta... tuttavia, in modo indiretto, l’arte può forse offrire una guida che ci aiuti a vivere e pensare in questi tempi interessanti».
E di idee in Laguna ce ne sono in ogni dove. Solo gli artisti prescelti per la Mostra del curatore sono 79, un melting pop visibile ai Giardini (nel Padiglione Centrale) e all’Arsenale, a cui si aggiungono nelle stesse aree e nel centro storico di Venezia 90 partecipazioni nazionali, dall’Albania allo Zimbawe. 21 gli Eventi collaterali ammessi dal curatore e promossi da istituzioni varie. Senza contare gli spazi cittadini che propongono mostre personali e collettive. La Biennale è una vetrina dell’arte contemporanea alla quale non si può mancare.
Una quindicina le presenze nordamericane (seguiti a distanza da francesi e cinesi) a cominciare dal decano della Biennale con sangue cherokee, Jimmie Durham (operante a Berlino), premio alla carriera di questa edizione, il cui lavoro coinvolge i mezzi più stravaganti per denunciare i limiti del razionalismo occidentale e la futilità della violenza, soffermandosi anche sull'oppressione perpetrata dai poteri coloniali a danno delle etnie.
Gli artisti invitati a questa Biennale espongono sia all’Arsenale (Proposta A) che al Padiglione Centrale (Proposta B), così i grandiosi volti neri fotografati dalla sudafricana Zanele Muholi ti guardano diritto negli occhi nel primo spazio, mentre, nel secondo, piccoli sguardi ripiegano sulla propria intimità. E non mancano mostruosi macchinari industriali come quello di due artisti cinesi, Sun Yuan e Peng Yu, in cui un possente braccio robotico munito di un’enorme spazzola cerca di contenere un liquido rosso sangue che si spande incessantemente sul pavimento.
E che dire della «Barca nostra», progetto dello svizzero Christoph Büchel che ha portato nel bacino dell’Arsenale il peschereccio libico inabissatosi nel 2015 nel Canale di Sicilia facendo oltre 700 vittime? Soltanto due gli artisti italiani invitati e del gentil sesso: Lara Favaretto con «Thinking Heads», prima avvolge i visitatori del Padiglione Centrale in una nuvola di vapore nella quale si sussurrano «conversazioni clandestine» i cui temi poi si collegano a 50 parole di un cervello umano; mentre Ludovica Carbotta riflette sul concetto di luogo, identità, condivisione proponendo installazioni scultoree sospese tra realtà e finzione.
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