D’ANNUNZIO
Vittoriale: 100 anni fa la scintilla

«Sento che è là che il mio destino mi spinge ad abitare», scriveva Gabriele d’Annunzio (1863-1938) quando iniziò il retiro sul Lago di Garda. Era il mese di gennaio del 1921 e il Vate andò a visitare la villa di Cargnacco, affacciata sul lago e nascosta tra i cipressi e i faggi che dominano la collina di Gardone Riviera. La prese in affitto per poi acquistarla e dopo un paio di anni donarla allo Stato.
Nel 2021 il complesso del Vittoriale degli italiani (vittoriale.it) compie cent’anni. Concluso il decennale progetto di “Riconquista”, viene restituito ai suoi 200mila visitatori annui (nel 2020, nonostante la pandemia, sono stati 113.700), restaurato e aperto in ogni suo luogo, come il Vate lo voleva. Appartenuta a Henry Thode, illustre studioso d’arte tedesco cui era stata sequestrata dal Governo italiano come risarcimento dei danni di guerra, la villa fu ottenuta per 20mila lire, cifra che raddoppiò con l’acquisto dell’intero contenuto, tra cui la biblioteca di circa seimila volumi, il pianoforte Steinway di Listz, mobili e cimeli, libri e fotografie d’arte, manoscritti di Wagner.
Con l’aiuto dell’architetto Gian Carlo Maroni il luogo fu trasformato in un monumento a memoria della “vita inimitabile” del poeta-soldato e delle imprese degli italiani durante la Prima Guerra Mondiale. Vittoriale è l’intero complesso, fatto di edifici, vie, piazze, un teatro all’aperto, giardini e corsi d’acqua; Priora è invece l’abitazione che D’Annunzio e Maroni sistemarono, ricavando dalle diciannove grandi stanze originali trentasei piccoli ambienti. Nonostante il nome, che suggerirebbe un edificio conventuale, sobrio ed essenziale, le stanze sono esuberanti e colme di oltre diecimila oggetti, migliaia di volumi, con soffitti in oro zecchino, tendaggi, tappeti e cuscini, statue, sanitari colorati, frasi enigmatiche e motti stampati su architravi e camini, in un gioco continuo di rimandi simbolici.
D’Annunzio si riservò la sistemazione degli interni: «sono un migliore tappezziere e arredatore che poeta e scrittore», diceva. E nel 1926, quando acquistò l’ala di Schifamondo (variante di Schifanoia), scrisse a Maroni: «Chiedo a te l’ossatura architettonica, ma mi riserbo l’addobbo. Desidero di inventare i luoghi dove vivo». Unico ambiente semplice è la cucina, con la macchina abruzzese per preparare gli spaghetti alla chitarra, e uno dei primi frigoriferi arrivati in Italia, un Electrolux. Era il regno della cuoca padovana Albina Becevello, che il poeta adorava.
I lavori proseguirono per anni, anche dopo la donazione del complesso. Tra il 1925 e il 1929 furono ultimate la camera da letto, o stanza della Leda, e la sala da pranzo, la stanza della Cheli. Il nome deriva dal centrotavola, composto da una enorme tartaruga, con il corpo in bronzo e il carapace vero.
Nel 1927 D’Annunzio cominciò a concepire la costruzione del Parlaggio, un grande teatro, su modello di quello pompeiano. Alla morte del Vate la costruzione è stata portata avanti da Maroni.
In occasione del centenario, il Parlaggio è stato completato e inaugurato lo scorso luglio, nella sua nuova veste in marmo rosso di Verona. È stata una delle iniziative promosse dalla Fondazione del Vittoriale, presieduta da Giordano Bruno Guerri, che con il motto “fermi ma non inerti” ha lanciato la significativa “sfida all’afflizione”: fino agli ultimi giorni dell’anno i cantieri hanno operato freneticamente, per fare trovare ai visitatori, nell’anno del centenario, un Vittoriale del tutto restaurato e aperto in ogni suo luogo, come il Vate lo voleva. Tra le iniziative, l’ingresso gratuito per tutto l’anno al Parco della dimora dannunziana per gli operatori sanitari d’Italia. È prevista inoltre la pubblicazione di un volume che ripercorre la storia del Vittoriale.
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